Novara e territorio novarese

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Vercelli e il Vercellese - fine XI secolo Asti

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3. La moneta a Novara e territorio novarese tra XI e XII secolo

A differenza di quanto si è appena visto a proposito di Vercelli, la documentazione novarese dell’XI secolo è assai ricca e varia. Basti pensare che non si dispone soltanto dei fondi della cattedrale di Santa Maria, che comprendono anche le interessanti carte dell’antico monastero di San Lorenzo, e dell’altra canonica cittadina, San Gaudenzio, il cui archivio è assai più povero del primo, ma anche delle carte di una pieve rurale sita nella zona settentrionale della diocesi, San Lorenzo di Gozzano, e delle carte della canonica di San Giulio sul lago d’Orta1. L’indagine può iniziare con due carte del 10142, [p. 16 modifica]piuttosto isolate dai punti di vista cronologico e tipologico rispetto agli altri documenti. Entrambe riguardano prestazioni unilaterali future di denaro.

La prima, rogata in Novara nel gennaio del 1014, coinvolge un importante personaggio pavese, lo iudex Gisulfo «filius bone memorie Leoni qui et Tezo» e fratello del vescovo di Novara Pietro3: Gisulfo dichiarò che il diacono della chiesa novarese Taleso gli aveva quel giorno stesso venduto mediante «cartulam vendicionis et pro accepto precio argentum denarios bonos Papiensis libras treginta et sex» metà delle case e dei beni «tam infra castra Caltenia[ca] quamque et foris in predicto loco et fundo Calteniaca vel in eius territorio». Si trattava in realtà, come chiarisce bene il testo del documento, di un prestito su pegno fondiario: la cartula promissionis di cui ci si occupa è caratterizzata da una grande precisione nella determinazione della somma di denaro, della scadenza per la riconsegna del denaro stesso («in mense iulii isto prossimo veniente qui venit de ac indicione duodecima aut si antea potueritis»), del luogo in cui deve avvenire la restituzione («dati ipsi denarii in civitate Papia a casa abitacionis mee qui supra Gisulfi iudex»), dei tempi e delle modalità di annullamento della carta di vendita («et cum ipsi denarii aput nos recepti abuerimus, tunc ibi loci vobis eadem cartam vemdicionis quas tu ut supra odie in me de predictis rebus emixisti capsata et taliata dare et redtere debeamus ut in se postea nullum obtineat roborem»). Si tratta di caratteri che si andranno diffondendo a Novara e altrove, nei documenti recanti indicazioni specifiche relative al numerario dato o preteso in cambio di altra prestazione, solo parecchi decenni più avanti, verso la fine dell’XI ma soprattutto nel secolo successivo4.

Gisulfo aveva effettuato un prestito su pegno fondiario per la somma di trentasei lire di denari d’argento pavesi. Nel giugno dello stesso 1014 un gruppo di una novantina di persone donò alla chiesa di San Gaudenzio di Novara i sedimi su cui erano edificate le loro abitazioni (poste in Cameri, non [p. 17 modifica]lontano da Novara) per una misura complessiva di uno iugero e tre pertiche5. La donazione era naturalmente intesa a trasferire il solo dominio eminente sui complessi abitativi, stabilendo un fitto annuo collettivo, da pagare alla festa di san Gaudenzio «qui venit de mense agusto», di quattro soldi di buoni denari di conio milanese consegnati al vescovo Pietro — fratello, come si ricorderà, del Gisulfo visto di sopra — e ai suoi successori.

Dunque nel secondo decennio del secolo sul territorio novarese circolavano entrambe le monete che egemonizzavano allora buona parte del mercato monetario dell’Italia centro-settentrionale6. Inutile, per ora, fare altre ipotesi, dato anche che per avere altre attestazioni di pagamenti effettuati in una moneta determinata, reale o di conto, bisogna attendere il 1032. È del marzo di quell’anno una vendita di pezze di arativo poste «in loco et fundo Paliade» da parte di un chierico a una «Vualperga filia quondam Restonni» al prezzo di dieci soldi di denari di conio pavese7. Attestazioni congeneri seguono negli anni 1040, 1041, 1049 e sono tutte legate ai membri di un medesimo gruppo familiare con beni nel territorio del vicus di Pagliate. La compattezza del nucleo documentario individuato invita a porne in evidenza i particolari di maggiore interesse, nell’intento di scoprire le ragioni del concentrarsi delle precisazioni di ordine monetario che qui interessano.

I membri della famiglia menzionata si possono identificare, nel trentennio e più in cui si riesce a seguirli, come gruppo dei figli del fu Restonus: da un «Iohannes filius quondam Restoni» attivo dal 1016 a un «Albertus filius quondam Restoni» documentato nel 1049, per due generazioni di figli del fu Restonus, che erano poi forse due Restonus strettamente imparentati e accomunati da un importante patrimonio fondiario in Pagliate. Il profilo delle attività economiche di questo milieu familiare si delinea su un numero di documenti assai più ampio rispetto ai quattro8 citati sopra.

La Vualperga documentata nel ruolo di acquirente nel marzo 1032 era emersa come acquirente di beni in Pagliate sin dal febbraio del 10179. Ma già l’anno precedente, poi nel 1022 e poi ancora nel 1030 un fratello di [p. 18 modifica]Vualperga, Giovanni, che agiva insieme con la moglie Maria, e una seconda Vualperga, con ogni probabilità distinta dalla prima, vendettero e acquistarono beni in Pagliate per varie somme non molto elevate, espresse in generici denari d’argento10. Allo stesso gruppo di documenti sono riconducibili diverse altre carte di compravendita11, ma è solo nel 1032, come si è già detto, e poi nel 1041 e nel 1049 che si hanno indicazioni monetarie perspicue. Angelberto «filius quondam Restoni de vico Paliade» comperò nel febbraio del 1041 da un Giovanni del fu Angelberto una vigna al prezzo di due soldi di buoni denari di Pavia; otto anni dopo un Alberto «filius quondam Restoni» insieme con sua moglie vendette ad un prete un sedime con edificio di legno e muro posto in Novara «a loco ubi dicitur Quadroblo» per una somma rilevante, computata in due lire di denari milanesi.12

Ci si trova quindi in presenza di un gruppo familiare molto attivo nella compera e nella vendita di terre tutte situate nella stessa porzione del territorio rurale novarese (e poi anche a Novara) a partire almeno dal secondo decennio dell’XI secolo. Che i membri di questa famiglia esercitassero forme di attività creditizia su pegno fondiario è certo: il pegno veniva sia preso sia, sembra di poter dire, dato, sempre in cambio di moneta. Si imprestava e si prendeva in prestito denaro per impiegarlo in altro modo, senza riscattare la terra impegnata, investendo e disinvestendo il denaro nel modesto circuito monetario locale. Nelle mani di questi individui esperti di credito e moneta correva indifferentemente numerario di conio pavese e numerario di conio milanese, il che conferma, dopo le due preziose testimonianze del 1014, come Novara fosse allora soggetta all’influenza di due diverse sfere di circolazione monetaria. Come spesso accade per la documentazione relativa al credito dei secoli centrali del medioevo, non si riesce bene a capire quale sia il profilo esatto dei singoli rapporti che si istituiscono né perché in un documento venga precisato il conio del numerario scambiato tra le parti e in un documento coevo, perfettamente identico dal punto di vista tipologico al primo, ciò non avvenga. Risulta però chiaro come sia la componente soggiacente, benché dissimulata, che impegna il creditore alla restituzione di una quantità il meglio possibile determinata di argento monetato, a imporre le determi[p. 19 modifica]nazioni precise – per esempio due lire di buoni denari di conio milanese e non due generiche lire di buoni denari d’argento – di cui ora si discute.

Nelle carte novaresi successive le testimonianze utili a questa indagine sono veicolate da documenti di carattere diverso rispetto ai precedenti. Al genere delle vendite appartengono tuttavia ancora tre documenti che testimoniano, tra il 1063 e il 1078, pagamenti, in un caso di forte entità, computati in moneta milanese13. Le altre carte di vendita, piuttosto numerose, non recano informazioni sui coni monetari14 e bisogna anzi giungere sino al 111615 e poi ancora oltre per trovare dati di questo tipo in vendite novaresi. Nella seconda metà del secolo XI tra le carte utili prevalgono quelle che documentano la concessione di terre in conduzione a lungo termine con corrispettivi in natura o denaro. Il più antico documento utile di questo tipo è un livello ventinovennale dell’aprile 1058 convenuto tra il prevosto della cattedrale di Santa Maria di Novara e un uomo de vico Vigevine relativo a beni posti in Lomellina per un censo annuale di sei soldi di denari milanesi più dodici denari della stessa moneta a titolo di amiscere, cioè una contribuzione di natura alimentare.16 Posteriore di quasi vent’anni, ma identico nella forma, è un livello in cui il prevosto della stessa canonica concesse a un uomo una terra posta in Novara presso la chiesa di Santa Maria in cambio di un censo di dieci soldi in denari milanesi «a parte ipsius cannonice» e dodici denari, che era forse un ammontare consuetudinario, come amiscere «a parte ipsius prepositus»17. Questo per ciò che concerne i livelli con canone fissato solo in denaro. Si ha anche traccia di decime, o almeno porzioni di esse, fissate in solo numerario: un accordo stipulato nel 1067 tra i canonici di Santa Maria di Novara e l’abate del monastero di San Lorenzo, pure di Novara, relativo a una [p. 20 modifica]decima gravante su beni posti nelle immediate vicinanze della città, stabiliva che la porzione di essa destinata ai canonici ammontasse a ventiquattro soldi milanesi18.

La moneta milanese, a parte le poche eccezioni che si vedranno, non ha quindi rivali nella seconda metà dell’XI secolo novarese19. Il suo uso continuo e incontrastato per un ampio lasso di tempo, probabilmente accompagnato dalla percezione della sua stabilità, aveva naturalmente favorito la sua affermazione in quanto generale misura di valore. Lo si vede bene in un breve del 1073 che documenta un’investitura perpetua da parte di due cugini alla canonica di Santa Maria di Novara di un manso in Carpignano: i due cugini si riservarono «districtum et ordinamentum tantum, per apreciatum valente usque ad argentum denarii boni Mediolanensis viginti et quatuor»20. Documento del prestigio di cui godeva la valuta milanese è anche la sua penetrazione nelle clausole che stabiliscono le penalità in caso di rottura dei termini contrattuali21. Fatto notevole, in quanto tali clausole tendono a cristallizzarsi nella formulazione dell’ammontare della pena, come attestano moltissimi documenti subalpini dell’XI secolo. Nelle carte novaresi dell’XI secolo il primo segno di una tale penetrazione si ha in una testimonianza risalente al gennaio del 109022.

Fissazioni della penalità in moneta corrente simili a quest’ultima si trovano, come si vedrà più avanti, in documenti di aree contermini a quella novarese. Ora, prima di dare uno sguardo generale alla documentazione novarese dei primi decenni del XII secolo, occorre notare che, se quanto si è visto induce ad affermare con sicurezza che Novara e il suo territorio erano compresi in un’area di circolazione della moneta milanese, è probabile che tale territorio fosse soggetto anche a influenze diverse. È possibile ipotizzarlo grazie a una testimonianza risalente al 1054, nella quale si vede il vescovo di Novara Oddo investire tre uomini di beni posti «in locas et fundas Seciano, Agamio, Marciglana, Rado, Laucino, Rovasine, Messoirano, Breclamo, [p. 21 modifica]Isouri» che Vuiberto presbiter aveva donato alle canoniche dell’episcopio novarese: Santa Maria e San Gaudenzio di Novara, San Giulio d’Orta e San Giuliano di Gozzano23. Il nutrito elenco di luoghi, alcuni dei quali non sono in grado di identificare, viene ripreso in un ordine diverso nella formula che precisa le condizioni giuridiche cui deve sottostare l’investitura: le prime quattro località elencate sono anche le uniche per i beni delle quali viene precisato l’ammontare del censo annuale, sempre e solo in denaro, e la canonica che lo deve ricevere24.

Luogo Censo canonica
Seciano (= Sizzano, NO) 4 soldi di denari pavesi Santa Maria
Agamio (= Ghemme, NO) 1 soldo di denari milanesi Santa Maria
Marcigliano 1 soldo di denari milanesi San Gaudenzio
Breclama e Isouri 4 denari milanesi San Giulio e San Giuliano

La ragione per la quale il censo dei beni in Sizzano venne fissato in denari pavesi è legata probabilmente alla posizione geografica di Sizzano, che si trova in una zona del territorio novarese immediatamente a ridosso del confine vercellese. Territorio, quello vercellese, nel quale si è visto di sopra documentato il prevalere della moneta pavese, ma solo a partire dall’inizio del XII secolo, mentre per il periodo anteriore, come si ricorderà, non si posseggono dati utili.

La documentazione dei primi decenni del XII secolo conferma l’appartenenza del Novarese all’area di diffusione della moneta milanese. Le testimonianze anzi si infittiscono, anche se permane per tutta la prima metà del secolo un numero non trascurabile di documenti in cui le informazioni relative al numerario scambiato o preteso continuano a omettere le informazioni relative al conio25. Ma a parte questi casi, le informazioni disponibili sono concordi nell’assegnare allo standard monetario lombardo il dominio assoluto, non turbato dai rilevanti elementi di novità che queste stesse informazioni, come subito si vedrà, presentano.

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In una investitura dell’ottobre 1109, il primo documento in cui viene menzionata la moneta milanese dopo un silenzio di quasi un quindicennio26, alcuni beni comperati per la canonica dell’isola di San Giulio d’Orta al prezzo di nove lire di denari milanesi vennero riconcessi al venditore per un canone annuale misto in denaro e in natura: la porzione in denaro del canone venne fissata in «solidos tres et denarios duos (…) bonorum Mediolanensium denariorum de denariis brunis»27. Attestazioni di questo stesso genere si trovano in pochi documenti distribuiti nell’arco di appena un decennio28 nei quali i denari bruni vengono menzionati come moneta che stabilisce l’ammontare dei canoni per remunerare concessioni fondiarie o delle pene pecuniarie da pagare in caso di rottura dei termini di accordi29. L’innovazione nella nomenclatura segnala in modo inequivoco che a quest’altezza cronologica nel [p. 23 modifica]territorio novarese (e, certo, anche negli altri territori inclusi nelle correnti di circolazione della moneta milanese) correvano due ben distinte emissioni di denari milanesi. Prima di riflettere sul significato di questa innovazione converrà avere un quadro completo anche degli sviluppi, notevoli, a venire.

A partire dal terzo decennio del secolo il modo di identificare la moneta nei documenti novaresi subì un nuovo significativo mutamento. I denari bruni scomparvero per fare posto a una nuova specificazione della moneta milanese. Quest’ultima è attestata per la prima volta in una investitura dell’aprile 112230, come canone annuale per una abitazione ammontante a «solidos quattuor bonorum Mediolanensium denariorum veterum». Attestazioni successive al 1122 di denari milanesi vecchi sono, nella non numerosa documentazione novarese del terzo e quarto decennio del XII secolo, del 1129, 1134, 1137, cui seguono più frequenti menzioni dal 1138 in avanti. Dati i caratteri della tradizione documentaria novarese non stupisce la prevalenza entro questo insieme di fonti di investiture della canonica di Santa Maria31. Ma, per fare un esempio diverso, tratto comunque anch’esso da una carta conservata nell’archivio della canonica cattedrale, anche nella prima sentenza consolare novarese conservatasi, pronunziata nel mese di agosto 1139 alla presenza del vescovo Litefredo, venne prevista, in caso di rottura dei termini del dispositivo, un’ammenda fissata in cento lire di denari vecchi di Milano32.

A partire dalla fine degli anni trenta i denari vecchi di Milano dovettero acquisire la funzione di riferimento monetario standard. Nel 1138 comparve per la prima volta nel prezzo di una vendita tra privati33, e negli anni successivi il fatto si ripeté34, mentre le menzioni di moneta non etichettata o milanese “generica” si fecero sempre più rare per poi scomparire35.

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Nella documentazione scritta della fine degli anni trenta e degli anni quaranta si definisce dunque una sorta di omogeneità di dati per la questione che qui interessa. Sarà interessante allora riflettere per un momento su un inventario, probabilmente incompleto ma datato (febbraio 1143)36, nel quale, come si apprende da un incipit esplicativo, il prevosto della cattedrale di Santa Maria di Novara, dopo opportuna indagine, aveva fatto scrivere «omnes fictos quos predicta venerabilis ecclesia eo tempore habebat et possidebat». Fra le rendite espresse in denaro risalta la differenza tra quelle in moneta non etichettata e quelle veteris monete:

(...) In Bacino pro multonibus in unoquoque anno solidos II; tercio quoque anno solidos X veteris monete pro vaccas; odie sunt singulis annis VI soldi ‹odie... soldi in sopralinea di mano posteriore› (...)
§ Decima de Caddo C libras casei et unam formellam duorum solidorum veteris monete et II caseos scutiferis et unam albergariam et IIII nummos pro vectura casei.
§ Piscaria una iuxta pratum Oxolanum et tenet ad Euredria fere usque ad Zoncallinam, de qua dantur solidos VIII, odie sunt X singulis annis ‹odie... annis in sopralinea di mano posteriore› et una albergaria. § In Maceria solidos III, denarios IIII.
§ In Bramosello denarios XV de piscaria.
§ In Albo fictus solidos XII veteris monete et una albergaria et fotrum et districtum eiusdem mansi.
§ In Cannaro fictus unoquoque anno solidos XV, denarios VI veteris monete; quarto vero anno solidos XXX et I eiusdem veteris monete. Et de caseo unoquoque anno libras CCLX. Pro castanei et piscibus in quadragesima solidos VIII veteris monete et duas partem fructuum olivarum. Et in medio augusto unoquoque anno unaqueque domus de Cannaro et de Ogogno unum caseum de quatuor nummis. (...)

La distinzione elementare tra una moneta espressa in modo del tutto generico e una moneta etichettata come vetus mi sembra permetta di distinguere in modo abbastanza preciso (e in rapporto per così dire inverso) tra censi vecchi, forse fissati in transazioni anteriori alla fine dell’XI secolo, e censi nuovi in moneta “vecchia”. Questo, naturalmente, quando si voglia ritenere che la nomenclatura utilizzata nelle carte non sia una artificiosa escogitazione notarile, ma piuttosto un riflesso di usi linguistici condivisi nella società. Se poi vi fosse allineamento o di che entità fosse la differenza tra la moneta dei censi vecchi e la moneta vecchia dei censi nuovi è un aspetto del più vasto problema della moneta milanese nella prima metà del XII che le fonti novaresi propongono. In ogni caso dai dati veicolati dall’inventario non emerge con chiarezza quale nozione avessero i suoi compilatori delle vicende che la moneta circolante nel Novarese aveva attraversato nell’ultimo mezzo secolo. Al di là di questo, sulla base delle conoscenze attuali si può ipotizzare che, nel momento della compilazione dell’elenco, la corrente monetaria prevalente a livello locale si configurasse come una circolazione simultanea di una moneta più forte, la vecchia, accanto a una moneta più debole, la nuova, [p. 25 modifica]spendibile al livello delle piccole transazioni quotidiane. Se questo è vero l’inventario, ricondotto alle condizioni del mercato monetario attuali al momento della sua compilazione, con il suo semplice lessico bipartito (moneta generica/moneta vecchia) sembrerebbe implicare una svalutazione di tutti i vecchi censi (espressi in moneta non etichettata), indebitamente ricondotti a uno dei termini di una polarità che al momento in cui erano stati contrattati semplicemente non esisteva37. In ogni caso, quale che fosse la moneta con cui venivano pagati i censi espressi in moneta “generica”, l’ipotesi prima formulata ha il grave difetto di non prendere in considerazione l’altro termine della questione che si ha di fronte, vale a dire quello costituito dai denari bruni milanesi documentati nel Novarese tra il 1109 e il 1118. Se i denari bruni costituivano una emissione più debole delle precedenti, come bisogna senza dubbio ritenere – emissione che, come si è visto, si era conquistata un ruolo egemone sul mercato locale, almeno come moneta di conto –, qual è il senso attribuibile all’abbandono di questa nomenclatura a partire dagli anni venti in favore dell’adozione di un riferimento a una moneta “vecchia”? Prima di tentare di rispondere a questo quesito sarà opportuno avere un quadro per quanto possibile completo della circolazione monetaria in Piemonte nel primo cinquantennio del XII secolo.

Note

  1. Cfr., innanzi tutto, Italia pontificia, congessit P.F. Kehr, VI/II, Berolini 1914, pp. 55 sgg. Si vedano anche gli studi di Giancarlo Andenna sul sistema pievano della diocesi novarese, tra i quali cito soltanto G. Andenna, Le pievi della diocesi di Novara, in Le istituzioni ecclesiastiche della «Societas cristiana» dei secoli XI e XII. Diocesi, pievi e parrocchie, Atti della sesta Settimana internazionale di studio (Milano, 1-7 settembre 1974), Milano 1977, pp. 487-516 e G. Andenna, La funzione della pieve nella campagna novarese, in Novara e la sua terra nei secoli XI e XII. Storia documenti architettura, a cura di M.L. Gavazzoli Tomea, Milano 1980, pp. 15-29.
  2. BSSS 78, pp. 229 sg., doc. 138 («civitate Novaria»); pp. 230-234, doc. 139 («in suprascripto loco Camari»).
  3. Anche lui appunto «filius quondam Leoni qui et Teuzoni»: BSSS 78, pp. 223 sg., doc. 134; p. 225, doc. 134. Cfr. H. Keller, Signori e vassalli nell’Italia delle città (secoli IX-XII), Torino 1995 (ed. or. Tübingen 1979), pp. 230 sgg., p. 258 nota 98.
  4. Occorre anche notare che la struttura della cartula di Gisulfo è analoga, se non identica, a quella di certe cartule ordinacionis, assai diffuse nell’Italia nord-occidentale tra X e XI secolo e il cui sottofondo creditizio è da ritenere certo, in cui un chierico, spesso un prete, dichiara di avere acquistato degli immobili per cartulam vendicionis et pro accepto precio da determinate persone, dichiarando quindi che, per non lasciare i suoi beni privi di eredi designati, li destina ai venditori stessi o a loro congiunti ed eredi sotto specifiche condizioni. Su di esse aveva attirato l’attenzione Cinzio Violante: C. Violante, Per lo studio dei prestiti dissimulati in territorio milanese (Secoli X-XI), in Studi in onore di Amintore Fanfani, I, Antichità e alto medioevo, Milano 1962, pp. 643-735; C. Violante, Les prêts sur gage foncier dans la vie économique et sociale de Milan au XIe siècle, in «Cahiers de civilisation médiévale», 5 (1962), pp. 147-168, 437-459.
  5. BSSS 78, pp. 230-234, doc. 139 («in suprascripto loco Camari»). Si trattò probabilmente della donazione dell’intero insediamento accentrato di Cameri, se dei sedimi venivano anche indicate delle coerenze complessive («da una parte terra nostra quam supra predictis omnibus in nostra reservamus potestate, de alia parte via publica»).
  6. Cfr. Cipolla, Le avventure della lira cit., pp. 47 sg.
  7. BSSS 78, pp. 288 sg., doc. 171 («civitate Novaria»). Un accenno a Vualperga e alla documentazione che la riguarda, in relazione al problema del faderfio, in F. Bougard, Dots et douaires en Italie centro septentrionale, VIIIe-XIe siècle: un parcours documentaire, in Dots et douaires dans le haut Moyen Âge, a cura di F. Bougard, L. Feller e R. Le Jan, Rome 2002, pp. 57-95: p. 76.
  8. Si tratta in realtà di tre documenti, perché il quarto, pur relativo a beni in Pagliate, non è immediatamente collegabile, sulla base delle fonti di cui si dispone, alla famiglia dei «ff. q. Restoni»: «Bonizo presbiter filius quondam [G]arifrede» vende a Vivenzo «filius quondam Andreani» un sedime e una vigna, un’altra vigna e quattro pezze di arativo «in loco et fundo Palliade» al prezzo di cinque lire di buoni denari di conio pavese (BSSS 79, pp. 16 sg., doc. 187, 3 settembre 1041, «infra civitate Novaria»).
  9. Quando acquistò due pezze di arativo al prezzo di quattordici soldi non specificati: BSSS 78, pp. 238 sg., doc. 143 («in suprascripto vico Paliate»).
  10. BSSS 78, pp. 237 sg., doc. 142; pp. 259-261, doc. 154; pp. 284 sg., doc. 168: si trattò nel primo caso di otto denari; nel secondo di una somma non quantificabile a causa di un lapsus del notaio; nel terzo di dodici denari.
  11. BSSS 78, pp. 249 sg., doc. 150 (ottobre 1019, «in suprascripto loco Paliate»): prezzo cinque soldi; BSSS 78, pp. 266 sg., doc. 157 (26 febbraio 1024, «infra vico Paliato»): prezzo cinque soldi; BSSS 78, pp. 294 sg., doc. 175 (19 gennaio 1034, «in loco Paliate»): prezzo un soldo; BSSS 79, pp. 22 sg., doc. 190 (marzo 1043, «infra civitate Novaria»): prezzo venti soldi; BSSS 79, pp. 26 sg., doc. 193 («infra civitate Novaria»): prezzo sette soldi.
  12. Rispettivamente BSSS 79, pp. 10 sg., doc. 183 («in vico Palliade»); BSSS 77/1, pp. 36 sg., doc. 19 (19 gennaio 1049, «civitate Novaria»). Un altro riferimento alla moneta pavese si trova nella clausola penale posta in calce ad un accordo tra i canonici di Santa Maria e i canonici di San Giulio d’Orta definito alla presenza del vescovo Riprando: la parte contravveniente avrebbe dovuto comporre «viginti libras optimorum Papiensium denariorum» (BSS 180/1, pp. 40 sg., doc. 23, 6 agosto 1040, Novara).
  13. BSSS 77/1, pp. 37 sg., doc. 20 (13 aprile 1063, «civitate Novaria»): «Iohannes filius quondam Restoni», che è assai difficile dire se abbia qualcosa a che fare con i «filii quondam Restoni» visti di sopra, vende ai fratelli Dominicus e Tedemundus figli di un defunto Adam un sedime e altri beni posti «in locas et fundas Sancto Petro et in Oblado vel in earum territorio» al prezzo di quattro lire di denari milanesi; BSS 180/1, pp. 48 sg., doc. 28 (29 aprile 1071, «in loco Roka de valle Sesida»): il presbiter Giovanni vende al presbiter Magno tutti i beni mobili, gli immobili e i servi, eccettuati quattro di questi ultimi, che possedeva nel territorio di Ghemme per la grossa cifra di ottanta lire di moneta milanese; BSSS 79, pp. 102-104, doc. 241 ([...] 1078, «in suprascripto loco Comodeia»): una vedova e i suoi tre figli vendono al tesoriere della chiesa novarese, Arnaldus presbiter, sette pezze di arativo «in loco et fundo Camodegia» al prezzo di tre lire, quindici soldi e due denari di moneta milanese.
  14. Le vendite prive di informazioni sul conio nella formula del prezzo sono, nei documenti compresi tra il 1041 e il 1100, quarantanove. Nello stesso periodo le vendite recanti informazioni sul conio sono sei, comprese nel numero due vendite parte del gruppo di documenti riconducibili ai figli del fu Restonus di cui si è parlato sopra. Seguono i rimandi alle edizioni delle vendite privi di indicazioni di conio monetario: BSSS 77/1, pp. 32 sgg., docc. 17, 23, 25; BSSS 79, pp. 35 sgg., docc. 198, 199, 201, 203, 206, 207, 208, 210, 212, 214, 216, 217, 222, 223, 224, 226, 232, 239, 240, 242, 245, 249, 250, 252, 253, 254, 256, 258, 259, 262, 265, 266, 268, 269, 270, 273, 274, 275; BSSS 77/3, pp. 32 sg., doc. 17; BSS 180/1, pp. 41 sgg., docc. 24, 25, 29, 30, 31, 32, 33.
  15. BSSS 79, pp. 185 sg., doc. 297. Le carte di vendita del XII secolo prive di informazione sul conio monetario e anteriori al 1116 sono sei: BSSS 79, pp. 169 sgg., docc. 284, 285, 286, 289, 290, 293.
  16. BSSS 79, pp. 50 sg., doc. 209 («civitate Novaria»).
  17. BSSS 79, pp. 133 sg., doc. 261 (19 settembre 1087, «in suprascripta ecclesia»).
  18. BSSS 79, pp. 67-69, doc. 221.
  19. Ai documenti citati a testo se ne possono aggiungere altri: BSSS 79, pp. 109 sg., doc. 246 (23 gennaio 1083, «in portico canonice Sancte Marie sita in civitate Novarie»); BSSS 79, pp. 118-121, doc. 252 (dicembre 1084, «in castro Bariloni»: due originali vergati sulla stessa pergamena); BSSS 77/3, pp. 42-44, doc. 25 (3 febbraio 1087, «in monte de suprascripto Olegio»); BSSS 79, pp. 143-145, doc. 267 (3 gennaio 1091, «in civitate Novarie infra solarium hospitalis Sancte matris Dei Novariensis ecclesie»); BSSS 77/2, pp. 39 sg., doc. 23 (1 novembre 1096, s. l.).
  20. BSSS 79, pp. 81 sg., doc. 230 («civitate Novaria, infra ecclesia Sancti Marie»). La formula per apreciatum... rimanda probabilmente a un pagamento effettuato mediante merci del valore indicato, qui in denari milanesi: si veda, per esempio, Rovelli, Le monete nella documentazione alto medievale cit., pp. 338 sgg. Ciò non toglie nulla al valore di testimonianze siffatte in quanto indici dell’alto grado di penetrazione dello strumento monetario (in questo caso come misura di valore) nella società cittadina e rurale dell’Italia centro settentrionale dell’XI secolo: si vedano le considerazioni di Feller, Les conditions de la circulation monétaire cit. (entrambi gli articoli sono citati sopra, nota 6).
  21. Cfr. P. Delogu, Il mancoso è ancora un mito?, in 774. Ipotesi su una transizione, Atti del seminario di Poggibonsi (16-18 febbraio 2006), a cura di S. Gasparri, Turnhout 2008, pp. 141-159: pp. 144 sgg.
  22. BSSS 79, pp. 139-141, doc. 265.
  23. BSSS 79, pp. 44 sg., doc. 204 («civitate Novaria, in cammara Domui ipsius civitate»): datato «die sabati quod est decimo die mense september» e «anno imperii domni secundo Enrici gratia Dei imperator augustus Deo propicio octava, suprascripto die sabati, indicione decima». L’indizione è errata: cfr. BSS 180/1, pp. 46 sg., doc. 26, di due anni posteriore e intitolato allo stesso vescovo e datato ricorrendo anch’esso con gli anni dell’impero di Enrico II (in realtà III).
  24. Restano quindi privi dell’informazione relativa all’ammontare e alla destinazione del censo i beni che si trovavano nei locas et fundas di Rado, Laucino (= Lozzolo?), Rovasino (= Roasio?), Messoirano (= Masserano), vale a dire quei beni che si trovavano nella diocesi di Vercelli. Su Rado, che negli anni quaranta del Duecento formerà con altri luoghi il borgofranco vercellese di Gattinara, si veda V. Mandelli, Il Comune di Vercelli nel Medio Evo. Studi storici, II, Vercelli 1857, pp. 232 sgg.
  25. Si tratta soprattutto di vendite o di carte di vario tipo prescriventi penalità in denaro in caso di rottura dei termini contrattuali. Si vedano per esempio BSSS 79, pp. 169 sgg., docc. 284, 285, 286, 289, 290, 293, 298, 300, 305, 316, 318, 321; BSS 180/1, pp. 60-62, doc. 35; BSSS 77/3, pp. 50 sg., doc. 32: di date comprese tra il 1101 e il 1145.
  26. La precedente attestazione di pagamenti da effettuarsi in moneta milanese si trova in una investitura del novembre 1096 (BSSS 77/2, pp. 39 sg., doc. 23, cfr. sopra, nota 62 e testo corrispondente). Un simile iato documentario ricorre anche nella documentazioni astigiana (otto documenti tra 1100 e 1117) e vercellese (otto documenti tra 1100 e 1113): cfr. i paragrafi 2 e 4.
  27. BSS 180/1, pp. 58-60, doc. 34 («in civitate Novarie, ad casa abitacionis Roglerii filii quondam Lamberti»).
  28. Canoni: BSSS 79, pp. 183 sg., doc. 295 (15 febbraio 1116): Longobardus e Ota donano un arativo di due pertiche in Pagliate riprendendolo in censo sino al loro decesso per un canone annuo di dodici «denarios brunos Mediolanenses»; BSSS 79, pp. 192-194, doc. 302 (13 dicembre 1118, «in Novaria» «in civitate Novarie ad casam abitacionis Boniiohannis filius Merundoli»): canone annuo di dodici denari bruni di Milano. Penale: BSSS 79, pp. 188 sg., doc. 299 (7 gennaio 1118, «in civitate Novaria, ante portam Grausi de archidiacono»): l’accordo di vicinato stipulato tra Otto de Olevalis e Otto de Macia – i cui sedimi, siti in Novara nei pressi di una chiesa intitolata a San Maurizio, confinavano – prevede una pena in caso di violazione di tre lire «bonorum Mediolanensium denariorum brunium», mentre per l’investitura parte dello stesso accordo vennero pagate «libras tres et dimidia» non meglio specificate. Cfr. A. Haverkamp, Herrschaftsformen der Frühstaufer in Reichsitalien, II, Stuttgart 1971 (Monographien zur Geschichte des Mittelalters, 1), p. 588 nota 129.
  29. Come si accennava sopra, nota 68 e testo corrispondente, in altri documenti coevi il numerario è ricordato mediante formule del tutto generiche. In altri casi viene menzionata la consueta moneta milanese senza altre specificazioni, talvolta anche quando le funzioni che il denaro ha nel contesto negoziale sono del tutto simili alle funzioni che ha nei documenti in cui sono attestati i denari bruni: si veda per esempio BSSS 79, pp. 179 sg., doc. 291 del 1112; pp. 195 sg., doc. 304 del 1119. Ricordo anche il caso della clausola penale di una permuta dell’anno 1113, stabilita in dieci lire di denari milanesi: BSSS 79, pp. 180 sg., doc. 292. In altre testimonianze invece i denari di conio milanese vengono menzionati come prezzo all’atto delle definizione del contratto: nel 1114 Boso, abate del monastero di San Giusto di Susa, investì un Uberto figlio di Leo e i suoi eredi di beni posti in Oleggio e Parrucearia, al prezzo fissato in sei lire di buoni denari milanesi una tantum e per un censo annuo di un denaro «monete per ipsam terram currentis legitime» e una candela (BSSS 79, pp. 182 sg., doc. 294). Cfr. anche BSSS 79, pp. 185 sgg., docc. 297, 309, 312, 317 degli anni 1116-1130. Per un caso assai particolare, che meriterebbe un’analisi puntuale, si veda BSSS 79, pp. 219 sg., n. 325 (20 settembre 1137, «in civitate Novarie in camera domini Litefredi Novariensis episcopi»), relativo alla vendita da parte di un pupillo, assistito dal suo tutore e da un cugino e autorizzato dal vescovo Litefredo nel ruolo di pars publica, di beni fondiari per saldare debiti del padre defunto, tra cui «duodecim solidi et dimidium starri», dove si rinviene un probabile, interessante ma isolatissimo, accenno a una obbligazione contratta nei confronti di prestatori ebrei (si veda la voce starrum in C. Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, editio nova, VII, Niort 1886, p. 585): i riferimenti al denaro ricevuto sono quindi privi di qualsiasi notazione di provenienza e conio mentre nella clausola penale la somma stabilita come sanzione è di dieci lire di denari milanesi.
  30. BSSS 79, pp. 197-199, doc. 306 (10 aprile 1122, «in civitate Novarie infra sanctam matris Dei eclesiam»): una vedova e suo figlio trasferiscono la casa in cui abitavano e un altro immobile, entrambi siti in Novara, nella titolarità della canonica cattedrale di Santa Maria, conservandone il possesso e impegnandosi a pagare per la casa in cui abitavano quattro soldi di buoni denari milanesi vecchi e per l’altro bene due soldi.
  31. In particolare risulta bene attestata la concessione in fitto a privati di case appartenenti al vasto patrimonio immobiliare urbano della canonica per fitti annui ammontanti a pochi soldi di denari milanesi di vecchio conio: BSSS 79, pp. 215 sgg., docc. 322 del 1134, 327 e 328 del 1138. Si veda anche BSSS 79, pp. 226 sg., doc. 331 del 1139, relativo a una investitura del vescovo Litefredo di un sedime edificato posto a Varallo, in Valsesia, per un fitto annuo di complessivi dieci denari «bonos Mediolanenses veteres». Le investiture di beni agrari comportano in genere censi in natura, ma menzioni di moneta vecchia di conio milanese si trovano anche in contratti di questo genere, nelle clausole penali: cfr. BSSS 79, pp. 205 sgg., docc. 314, 324, 329 degli anni 1129, 1137, 1138.
  32. BSSS 79, pp. 224-226, doc. 330 (27 luglio 1139, s. l.): la lite, vertente tra due privati da una parte e il monastero di San Lorenzo e la canonica di Santa Maria dall’altra per l’acqua di una roggia molinaria, prevedeva come possibili contravventori i due privati.
  33. BSSS 79, pp. 220 sg., doc. 326 (9 giugno 1138, «in loco Novarie»): «accepimus comuniter a te (…) argenti denariorum bonorum veterum Mediolanensium solidos novem finito precio».
  34. Nel febbraio 1140 Alberto del fu Mainfredo vendette a Guglielmo presbiter «de loco Romentini» per venticinque soldi di buoni denari vecchi milanesi una pezza di terra «in loco et in territorio Camari» presso la chiesa di San Cassiano: BSSS 79, pp. 228 sg., doc. 333. Si vedano anche BSSS 79, pp. 231-234, doc. 336 (pagamento per una refuta), doc. 337 (vendita).
  35. BSSS 79, pp. 236 sg., doc. 340 (dicembre 1142, s. l.): penalità di cento soldi di denari milanesi ai contravventori dei termini di una sentenza pronunziata da un messo di re Corrado su una lite tra due gruppi di rustici relativa a una terra comune. Cfr. anche BSSS 77/3, pp. 50 sg., doc. 32 del 1145.
  36. BSSS 79, pp. 237-239, doc. 341.
  37. Accenni interessanti a questo genere di problemi in D. Herlihy, Pisan coinage and the monetary history of Tuscany, 1150–1250, in Le zecche minori toscane fino al XIV secolo, Atti del 3° Convegno internazionale di studi (Pistoia, 16-19 settembre 1967), Pistoia [1975], pp. 169-192, in particolare pp. 177 sg.; per le rendite in denaro nella Lombardia orientale fino al XIII secolo e la loro grande variabilità F. Menant, Campagnes lombardes au Moyen Âge. L’économie et la société rurales dans la région de Bergame, de Crémone et de Brescia du Xe au XIIIe siècle, Rome 1993 (Bibliothèque de l’École française de Rome, 281), pp. 344-348.