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[p. 168 modifica] simile a quella che i’ho detto, poco riputandosi miseri, lo sono meno degli altri, e cosí tutti secondo che si stimano infelici.


*   Quando l’uomo concepisce amore, tutto il mondo si dilegua dagli occhi suoi, non si vede piú se non l’oggetto amato, si sta in mezzo alla moltitudine, alle conversazioni ec., come si stesse in solitudine, astratti e facendo quei gesti che v’ispira il vostro pensiero sempre immobile e potentissimo, senza curarsi della maraviglia né del disprezzo altrui, tutto si dimentica e riesce noioso ec., fuorché quel solo pensiero e quella [p. 169 modifica]vista. Non ho mai provato pensiero che astragga l’animo cosí potentemente da tutte le cose circostanti, come l’amore, e dico in assenza dell’oggetto amato, nella cui presenza non accade dire che cosa avvenga, fuor solamente alcuna volta il gran timore che forse forse gli potrà essere paragonato.


*   Io soglio sempre stomacare delle sciocchezze degli uomini e di tante piccolezze e viltà e ridicolezze ch’io vedo fare e sento dire massime a questi coi quali vivo, che ne abbondano. Ma io non ho mai provato un tal senso di schifo orribile e propriamente tormentoso, come chi è mosso al vomito, per queste cose, quanto allora ch’io mi sentiva o amore o qualche aura di amore; dove mi bisognava rannicchiarmi ogni momento in me stesso, fatto sensibilissimo oltre ogni mio costume, a qualunque piccolezza e bassezza e rozzezza sia di fatti sia di parole, sia morale sia fisica, sia anche solamente filologica, come motti insulsi, ciarle insipide, scherzi grossolani, maniere ruvide e cento cose tali.


*   Io non ho mai sentito tanto di vivere quanto amando, benché tutto il resto del mondo fosse per me come morto. L’amore è la vita e il principio vivificante della natura, come l’odio il principio distruggente e mortale. Le cose son fatte per amarsi scambievolmente, e la vita nasce da questo. Odiandosi, benché molti odi sono anche naturali, ne nasce l’effetto contrario, cioè distruzioni scambievoli, e anche rodimento e consumazione interna dell’odiatore.


*   Quella miserabile lussuria di epiteti, sinonimi, riempiture, chevilles ec., che forma il comunissimo orpello de’ nostri classici cinquecentisti (e credo anche del Poliziano), però non paragonabili ai latini, ma piú ai greci quanto allo stile, non si trova o piú rara assai [p. 170 modifica]in Dante e nel Petrarca, dove anzi trovi una misuratezza infinita di parole e castigatezza di ornati e significazione conveniente e opportunità di tutte le voci ec., come