Pei monumenti storici del Friuli/Ecco, onorandi colleghi,...

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VII. Archeologia

[p. 17 modifica]Ecco, onorandi colleghi, in qual maniera la prima idea gittata innanzi a Voi l’anno passato, come buon seme in buon terreno, è venuta sviluppandosi e disegnandosi da sè medesima. Nè l’ampiezza del disegno, e le difficoltà [p. 18 modifica]dell’attuarlo vi disconfortino, chè il carattere dei Friulani non fu mai la pusillanimità. La vostra volontà, la protezione vostra, può affrettare il compimento dell’ampio sterrato su cui verrà poi erigendosi l’edificio della storia Friulana. Noi non siamo gli architetti, noi ne siamo soltanto i manovali. Deh! voi che siete arbitri e fautori, ajutateci ancora ad incarnare il pio disegno.

La luce di quest’Accademia riverberi sulle spente memorie della Patria, e le Antichità nostre risorgano, e il medio evo friulano splende una volta, ed occupi il posto che gli si addice frammezzo alle altre Italiane Repubbliche. Me via, che non si spenga il caldo desiderio; che non si aspettino altre onde di tempo, le quali vengano a sommergerne le preziose reliquie. Non si dorma, deh no, da chi ha la santa vocazione di vegliare alla gloria del proprio paese! La vostra voce autorevole risvegli i dormigliosi, almeno tanto quanto fa di bisogno perchè si accorgano di avere una patria da illustrare, e faccia risuonare alle loro orecchie quell’acuto rimprovero col quale Tullio condannava all’infamia la memoria di Curione, dicendo che nullam memoriam antiquitatis collegerat. Rammenti loro che come il sentimento di patrie è stimolo a nobili fatti, così il disprezzo delle domestiche glorie è semenza di dappocaggine e di viltà; giacchè non prius laudes contempsimus, quam laudanda facere descrivimus.

E' un dovere generale dell’uomo, è particolare del Cittadino, è particolarissimo dell’Accademico, quello di tramandare ai Posteri viva la favilla di civiltà ricevuta degli Avi. Inter se currentes vitam et lampada tradunt, dicea Lucrezio intorno alla trasmissione della vita civile da un popolo all’altro, dall’Egitto alla Grecia, dalla Grecia [p. 19 modifica]a Roma. Inter se currentes vitam et lampada tradunt, ripetiamo noi intorno alla trasmissione della vita civile da una generazione all’altra, dei nostri Avi a Noi, da Noi ai nostri Nepoti. E questa trasmissione di civiltà come verbo vivificante, che passa di generazione in generazione, era dai saggi di Grecia nelle Feste panatenee acconciamente simboleggiata in una lampada ardente, che nel rapido movimento della danza dalla mano dell’uno a quella dell’altro successivamente si trasmetteva. Guai a quell’individuo, a quel paese, a quel popolo, che non coglie alla sua volta quel verbo vitale; che chiude gli occhi, e non vede, e non coglie la luce della lampada ardente che passa! Se il fuoco sacro di Vesta alimentato dalle nobilissime romane vergini viene a spegnersi, guai alle Vestali, ed a Roma, ed al Mondo! Dove si troverà un altro Prometeo, che un’altra volta rapisca al Cielo la sacra favilla?

Le benefica favilla, che dovrebbe splendere come stella mattutina sulla terra innaffiata dai sudori dei nostri padri, e consolar ci dovrebbe di suo splendore, non è spenta no; ma ella è sepolta come il fuoco di Neemia sotto il fango della terra che calpestiamo coi piedi. Deh! rinvanghiamo questa terra, e ritroveremo tra le ossa degli Avi nostri la luce. Questo è il consiglio che a noi dava l’antica sapienza dell’oracolo, fin da quando intimava ad Enea ed a’ profughi suoi Trojani: antiquam exquirite matrem.