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Lucio Vero. Si, Lucilla, il confesso,

amo, si, Berenice.
In van da quei begli occhi
mi difesero i tuoi. La colpa udisti.
Sfoga pur l’odio tuo, dimmi spergiuro,
ingrato, traditor, nomi che tutti
convengono al mio eccesso;
del tuo cor, del tuo labbro
merito l’ire-e mi condanno io stesso.
Lucilla. No, Cesare, ti assolvo e vieto al labbro
le inutili querele.
Col trofeo del mio pianto
non vo’ accrescer l’orgoglio a un infedele.
Lucio Vero. Da te, dopo un rifiuto,
non attendea si bel perdon; ma forse,
quando temo tradirti, allor ti servo.
Era tra’ nostri cori
una secreta nimistade, e come
io non t’amai tu non mi amasti.
Lucilla. Iniquo,
io non t’amai? Che dunque feci? Io pure
per te di tutta Roma
sprezzai gli affetti, a te rivolsi i miei.
Ti fé’ cesare Aurelio: io diedi il voto;
ti fe’ mio sposo il padre: io diedi il core;
ruppe il Parto rubello
nodi si dolci: io m’attristai; vincesti:
fu mio l’onor de’ primi applausi. Intese
Roma con sdegno i tuoi novelli amori:
io fui la sola, ingrato,
che cercando difese al tuo delitto
ti assolvea nel mio core,
e lasciai per seguirti, anche tradita,
la patria in abbandono e il genitore.
Lucio Vero. (Quanto è noiosa!)
Lucilla. Ed io,
A. Zeno, Drammi scelti. 6