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Berenice, (si leva) Cesare, io molto udii; tu molto hai detto,

e il mio lungo silenzio
al mio ossequio donai, non al tuo affetto.
Quell’alto onor, quel grande
titolo di cui pensi
l’orecchio empirmi, è nome vano, è colpa,
se di viltá mi tenta.
Vologeso è il mio sposo.
Tutto il mio cor, tutta quest’alma e tutti
gli affetti miei son suoi. Diadema e trono
dividerli non può dal caro oggetto.
Riprenditi il tuo dono;
s’anche fosse maggior, non deggio amarlo,
e col coraggio stesso
con cui darlo tu puoi, so rifiutarlo.
Lucio Vero, (si leva) Un cieco amor troppo ti rende audace.
Berenice. Virtú è talor l’audacia stessa.
Lucio Vero. Ogni altra
che Berenice avrebbe
meritato il mio sdegno.
Berenice. Piú dell’ ira il tuo amor mi fa spavento.
Lucio Vero. Non irritar, regina,
chi può farsi ubbidir, benché ti preghi.
Non ti chiedo il tuo onor, chiedo il tuo affetto.
Potrei chiederlo Augusto, e il chiedo amante.
Pensa, né consigliarti
con la tua crudeltá. Qualche momento
dono ancora al tuo amor, dono al tuo sposo,
ma pensa che da lui
pende la tua grandezza e il mio riposo.
Berenice. Ho risolto che non voglio...
Lucio Vero. Pensa ancora
pria che dir: non voglio amarti.
Tu il puoi dir con tanto orgoglio
a un amante che ti adora,
non a un tuo vincitor che può sforzarti.
(parte Lucio Vero)