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siediti meco. (Il luogo

par che ragion faccia a’ miei dolci ardori.)
Berenice. (Che mai sará?) (a Lucio Vero) Ubbidisco.
(si assidono)
Lucio Vero. Berenice, oggi il mondo,
al cui destino ogni mio sguardo è legge,
da’ miei sponsali una che venga a parte
e del mio letto e del mio trono attende.
Ben mi è noto, qual devi
nodrir per Vologeso affetto e fede.
Berenice. Obbligo inel comanda e amor mel chiede.
Lucio Vero. Pur se al lempo rifletti in cui lo amasti,
se allo stato in cui sei,
se a quel che ti destina un cor monarca,
è viltá, se piú l’ami,
è costanza, se ’l lasci. Alle tue chiome
il diadema latino e a te riserbo
d’Augusta insieme e di consorte il nome.
Berenice. Signore, in pochi accenti
gran cose esponi e assai maggior ne tenti.
Se con le regie offerte
ischernirmi ti piace,
è crudeltá lo scherno,
e se tentarmi, è offesa.
Pur nello stato in cui
siamo, tu di sovrano ed io di serva,
a te tutto far lice, a me soffrirlo.
Lucio Vero. Ch’ io t’inganni, regina, e ch’io t’offenda?
Berenice. E chi non sa, che si bel giorno è scelto
a coronar Lucilla?
Lucio Vero. No, non avrá Lucilla
parte del soglio mio, se ancor non ebbe
parte mai del mio cor. Ben da quell’ora,
da quell’ora fatale in cui ti vidi,
benché fieri o lagrimosi,
vi amai, v’idolatrai, lumi vezzosi.