Pagina:Zeno, Apostolo – Drammi scelti, 1929 – BEIC 1970951.djvu/61

tua la gloria. Un Augusto

ti serve di coppier; bevi, o regina.
Berenice. Troppo è l’onor; né a me tua schiava or lice
ricusarlo, o signor.
VOLOGESO. (prende furioso il bicchiere di mano a Berenice e lo getta
a terra) No, Berenice!
LUCIO VERO, (si leva dalla mensa e si avanza verso di Vologeso)
Tanto ardir?
Voi. ogeso. (a Berenice) L’altrui morte
tu accostavi al tuo labbro,
e i doni d’un nemico
piú dovevi temer. Cesare, è tosco
quel cui beve la terra,
e sua pena divien ciò che da un mostro
liberarla dovea. T’assolve il caso
dall’odio mio. Perdei la mia vendetta;
la tua comincia. Invitto
l’attenderò. N’è degna
piú la sventura mia che il mio delitto.
Berenice. (Egli è desso, cor mio.)
Lucio Vero. O tu che al par dell’opre
temerarie hai le voci, e grido al nome
dall’ ire mie, dalle tue colpe attendi;
dimmi: quando ti offesi?
Qual sei? che cerchi? ove ti spinge un cieco
impeto di furor, genio di morte?
Uom, non so ancor, se disperato o forte.
Vologeso. Parto son io. Ristretti
ecco in breve i miei torti.
Per istinto e per legge
a te, a Roma nemico, altro di grande
non ho che l’odio mio: toglimi questo,
son nome ignoto, ombra insepolta io vivo.
Del mio re Vologeso
meditai le vendette. A lui togliesti
scettro, popoli e vita;