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Telemaco. Ma, signor, se Astianatte oggi è in periglio,

di’ che quegli io mi sia. Viva il fratello.
Astianatte. Io mille vite cederei piú tosto
che non esser, qual son, d’ Ettore il figlio.
Telemaco. Deh, togline di dubbio e di rancore.
Eleno. Se non il sangue, ambo ne avete il core.
Astianatte e Telemaco, (a due)
Troia cadé, ma vive
chi vendicar la può.
Telemaco. Io correr Tonde argive
vedrò di sangue e pianto.
Astianatte. E nuove palme a Xanto
io rifiorir farò.
(entrano nel tempio)

SCENA II

Eleno.

A me dato è talor dal divo Apollo

entrar ne’ cupi abissi
dell’avvenir. Ma da sé stessa ancora
l’alma è presaga. In sul mattin dal sonno
scossemi un non usato
palpitar; da quell’erta
vetta del tempio in mar guardando, al lido
vidi appressarsi, e ben le riconobbi,
piú greche navi. O cara
Andromaca, a te corse il mio timore,
e al tuo misero figlio. A te può scudo
esser Tamor di Pirro;
chi ’1 sará al tuo Astianatte? In me, comunque
ne dispongano i fati,
vedrai, donna infelice, un fido amante.
Amante, si, ma che in suo cor sospira