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punire il non suo fallo, in me ’l punisci.

Io terrò qui sue veci. A regger ceppi
tenero ancora è l’altro. Anni e fatiche
me fèr robusto. Io pesi, io ferri, io posso,
posso tutto soffrir; ma al padre mio
esser nunzio di morte, ah ! non poss’ io.
Di Giuseppe al crudo fato,
tramorti lo sconsolato;
moria ancor, né ’l tenne in vita
che l’amor del picciol figlio.
Or se questo a lui vien meno,
per dolor mancargli in seno
vedrem l’alma, e in un sospiro
da noi tòrsi eterno esiglio.
Giuseppe. Piú non resisto. A me ’l garzone, o Ramse.
Lungi, o custodi, o servi.
Ornai credo sinceri i vostri pianti.
Sorgete. E tu pur vieni, o mio diletto.
Fosse qui ancor Giacobbe ! Io sono il vostro
mal perduto fratello: io son Giuseppe.
Beniamino. Giuseppe?
Ruben. O ciel !
Simeone. Giuseppe ?
Giuda. Miseri noi !
Giuseppe. Bando al timor. Fratelli,
datemi e ricevete amico amplesso.
Beniamino. Perché tanto indugiarmi un si gran bene?
A me perché rigori? Io non t’offesi.
Giuseppe. Del mio inganno innocente a te perdono
chieggo, ed a voi. Giá vi temeva al mio
Beniamin, quali a me foste, iniqui.
Provai la vostra fé. Virtú vi regge.
Fraterno amor vi unisce, e fu Giuseppe
la vostra ultima colpa.
Offro e dimando amor. Mei negherete?
V’amo, e Giuseppe io son. Che piú temete