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t 7 8 IV - GIUSEPPE

dilette al ciel contrade
che mi recaste?
Ruben. Balsami vitali,
succhi odorosi e terebinto e mele;
poca offerta e non quale
conviensi a tua grandezza,
ma qual può nostra sorte. Oh! pari fosse
il potere al disio. Ma desolati
son ora i nostri campi,
nè li copre che orror, miseria e lutto.
Agl’infelici abitator sovrasta
irreparabil morte
che giá spiega in lor volto orride insegne.
Pietá, signor, pietá! Ten prega il nostro
buon genitor. Noi ten preghiamo e questo
innocente fratei, che in atto umile
tua man benefattrice ora ti bacia.
Beniamino. E questo bacio a te ne vien col pianto.
Deh ! salva il popol mio, salva il mio padre,
e d’Àbramo il gran Dio salvi te ancora!
Giuseppe. (Per troppa angoscia il favellar m’ è chiuso.)
(ai fratelli) Sorgete. Il vostro (ah! quasi dissi il mio)
vecchio padre ancor vive?
Giuda. Ei vive in forte
ma infelice vecchiaia, ed è prodigio
ch’ei regga e duri ai gravi mali e tanti,
ond’è sua terra e sua famiglia afflitta.
Giuseppe. Questi è il minor nato a Giacobbe?
Beniamino. Io ’l sono.
Beniamin mi appello.
Giuseppe. Al sen ti stringo;
e ’l Dio che giá invocasti, o figlio mio,
ti benedica e d’ogni ben ricolmi.
Beniamino. Mi chiami tuo figlio;
ti guardo, e in quel ciglio
mi sembra del padre
veder non so che.