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j6o III - ALESSANDRO SEVERO

che se all’onor del trono
tu l’innalzasti, ei n’era degno, e appena
n’era un grado lontano. Or che l’ascese,
non è piú in tuo poter far che ne cada
senza gravi rovine.
Cinta una volta, la reai corona
rende sacra la fronte ov’ella splende.
Era augusta la figlia
al par di te, da che ne ottenne il fregio.
Augusta l’onorò Roma, il senato
e Cesare e tu stessa.
Pari a te in grado, a te anche pari in sorte,
ella esiglio e ripudio, e tu avrai morte.
Giulia. Venga questa e m’incontri
piú di quello che pensi ardita e forte.
La temei, non lo nego,
pria di vederla. Or che la miro in volto
a iniquo genitor d’indegna figlia,
ella in me non risveglia altro dolore
che quel di aver si tardi
trovato e conosciuto il traditore.
Ben fui cieca a cercarlo
fuor del tuo sangue e fuor di te. La mia
colpa è sol questa, e questa
fa la mia pena ed arma il tuo delitto.
Compiscilo, ma sappi
che una madre svenata
chiamerá alle vendette un figlio augusto,
e se col mio morir render tu pensi
alla figlia lo sposo ed il comando,
orgoglio e fellonia mal ti consiglia.
Per Cesare qui giuro
morte a te, morte a’ tuoi, morte alla figlia.
Marziano. Marziano, Sallustia e Roma e il mondo
tutto, tutto perisca,
ma Giulia ci preceda, ombra non vile.