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Sallustia. (Giulia è difesa. Or non si accusi ’l padre).

Giulia. Parla, Sallustia, e attendi
dal mio grato dover ciò che piú brami.
Sallustia. Ciò che piú bramo è che nel cor sepolto
mi resti ’l grande arcano;
parlai non chiesta, tacerò costretta,
e il mio forte silenzio
sará dovere e tu il dirai vendetta.
Giulia. Non aspettar ch’ io scenda
dopo un comando alla viltá de’ preghi.
Molto sperar, se parli,
e puoi molto temer, se dura il neghi.
Sallustia. Vane son le lusinghe e le minacce.
Parlai per zelo e taccio per virtude.
Giulia. Sará virtú celarmi un traditore?
Sallustia. Giá dissi ’l tradimento e ti salvai.
Giulia. Chi asconde il reo, l’altrui delitto approva.
Sallustia. Ciò che giá oprai di mia innocenza è prova.
Alessandro. Deh, salvami la madre e parla, o cara!
Sallustia. La madre ti salvai, piú dir non posso.
Giulia. Che protervo silenzio!
Tutto per te si fa mio rischio. Io temo
de’ miei piú cari. Temo
e ministri e custodi
e Marziano e quanto veggio e penso.
Che piú? nel mio periglio
mi è oggetto di spavento insino il figlio.
Marziano. Lasciatemi, o dell’alma
stupidezze e ribrezzi. È tempo alfine
che a figlia si ostinata
favelli ’l padre. Guardami e ravvisa
chi ti parla e a chi parli.
Da me forse col sangue e con la vita
ricevesti l’esempio
di reitá, di fellonia proterva?
Sallustia. (Anche il padre a’ miei danni?)