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i3 6 III - ALESSANDRO SEVERO

Sallustia. Or la corona
ripigliati e lo scettro.
Giulia. Ella sul trono
de’ Cesari ti pose.
Sallustia. Io ne discendo,
né mi costa il lasciarlo
una lagrima sola.
Giulia. Ella il mio cor... Ma, ingrata,
che piú darti potea dopo il mio figlio?
Sallustia. E questo, e questo è il dono
che in perderlo mi costa e pianto e sangue.
Vedilo, eccelsa madre, lo te lo rendo,
e tei rendo innocente,
né di altra colpa reo
che di aver troppo amata un’infelice.
Alessandro. L’ascolto e vivo?
Sallustia. Augusta,
all’amor tuo lo lascio,
tu lo consola. Al vedovo suo letto
scegli sposa piú degna e piú gentile.
Questo il puoi far; ma piú fedel, non mai,
ché troppo, idolo mio, troppo t’amai.
Giulia. Se la virtú, che hai nel tuo fato avverso,
tra la prosperitá serbata avessi,
misera or non saresti.
Io ti ho qualche pietá, ma a te piú fasto,
a me daria piú tema
un facile perdono.
Vattene! Al tuo destino io ti abbandono.
Sallustia. Addio, Augusta! addio, sposo! Ah, mi perdona,
se ancor mi usci dal labbro il dolce nome,
nome che mai non mi uscirá dal core.
Questa è l’ultima volta
che il posso dir. Vado al mio duro esiglio;
lá farò voti al cielo
e per Roma e per Giulia e per il figlio.