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Giungo al Tebro, entro in Roma,

e di Claudio non cerco,
cerco di Augusta al piè, china e prostesa,
la mia pace, il mio ben, la mia difesa.
Sallustia. E qual chiedi, l’avrai! Claudio ti è fido?
Albina. Un anno di costanza
in uom si può sperar? Scrissi, spedii:
non badò a messi, non rispose a fogli.
Sallustia. Ma se il trovi infedel, tu che far pensi?
Albina. Racquistarlo e punirlo.
Deh, fin ch’io sia contenta o vendicata,
chiudi in te il mio destin, taci il mio sesso.
Amor, rischio ed onor cosi richiede.
Sallustia. Giuro un sacro silenzio alla tua fede.
Albina. Non vo’ che un infedele
si vanti de’ miei pianti
e scherzi al mio martoro.
D’ira e di ferro armata,
saprò quell’alma ingrata
punir, se ben l’adoro.

SCENA VI

Alessandro con séguito, Claudio e Sallustia.

Alessandro. Le suppliche vassallo

qui son raccolte. È padre
de’ popoli il regnante.
Quel giorno in cui non sono
o benefico o giusto
da’ miei fasti si escluda; io l’ho perduto.
(va a sedere al tavolino)
Sallustia. Te del genere umano
la delizia e l’amor chiaman le genti.
Alessandro. E tu, Sallustia, sei