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I 20 III - ALESSANDRO SEVERO

SCENA V

Sallustia e Albina.

Albina. O dell’alta tua sorte

ben degna sposa, ecco al tuo piè s’inchina...
Sallustia. (Qual sembiante! Qual voce!)
Albina. La sfortunata, a te ben nota Albina.
Sallustia. Albina, amica... E quando in Roma, e come
sotto ammanto viril?
Albina. T’apro il mio core.
Sai ch’io sono a Sulpizio,
che proconsolo regge
la vassalla Sicilia, unica figlia.
In quell’etá, dove sovente amore
l’incaute giovanette
prende a’ suoi lacci e di sue fiamme accende,
vidi Claudio e l’amai.
Sallustia. Claudio mi è noto.
Albina. Ei pur mi amò; fede giurommi. Il padre
intese i nostri affetti e piacer n’ebbe.
Un cesareo comando
tutto turbò. Della Sicilia eletto
fu proconsolo il padre; a me convenne
seguirlo e lasciar Claudio, ahi, con qual pena
Mutai cielo e fortuna.
Colá dal genitore
mi fu scelto altro sposo.
Piansi, pregai, mi opposi;
tutto fu invano. All’ imeneo funesto
non trovando altro scampo,
lo cercai nella fuga.
Nome e sesso mentii. Mar, piano e monte
varcai; cotanto ardita amor mi fece.