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Claudio. Che pensi?

Lucio Vero. 1 detti attendo.
Lucilla. Vilipesa e tradita, io ben dovrei
a’ miei giusti furori
dar piú facile orecchio e vendicarmi.
Ma ti ravvedi al fine. A tempo ancora
sei di pentirti, e tei concedo io stessa.
Io stessa in su quel trono
da cui, come dal cor, tu mi scacciasti,
ti rimetto, se ’l chiedi, e ti perdono.
Claudio. Come?
Lucio Vero. Che far degg’io?
Lucilla. Rimanda a’ Parti
Vologeso e la moglie;
allontana Aniceto;
perdona a Claudio, e qual ti serbo i miei,
gli affetti tuoi mi rendi.
Ubbidisci alle leggi, e Augusto sei.
Lucio Vero. La tua bontá, piu che il timor de’ mali,
le mie colpe mi addita.
Ma in tal necessitá giurarti amore
parer può del timor piú che del core.
Lucilla. Dove l’opra si chiede,
mentir non osa il labbro.
Parla !
Lucio Vero. Che dir potrò? Se non che indegno
son del tuo amor. Le giuste leggi accetto.
Primo autor de’ miei falli e reo ministro,
Aniceto si esigli.
Torni libero ai Parti il re cattivo
e la fatai consorte.
Claudio, al seno ti stringo; e tuo, mia sposa,
si, tuo sarò sempre sino alla morte.
Lucilla. O gradite promesse !
Claudio. O fausta sorte!
Lucilla. Per gli augusti sponsali il Campidoglio