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Sol’io non piango? io sol non mi risento?
     Io, pel cui fallo il Divin figlio è ucciso?
     Questo, ah questo è il maggior d’ogni portento.


XLIV.


Cento vezzosi pargoletti Amori
     Stavano un dì scherzando in riso e in gioco.
     Un di lor cominciò: si voli un poco.
     Dove? un rispose; ed egli: in volto a Clori.
5Disse, e volaron tutti al mio bel foco,
     Qual nuvol d’Api al più gentil de’ fiori:
     Chi 'l crin chi ’l labbro tumidetto in fuori,
     E chi questo si prese e chi quel loco.
Bel vedere il mio ben d’amori pieno!
     10Due colle faci eran negli occhi e dui
     Sedean coll’arco in sul ciglio sereno.
Era tra questi un Amorino, a cui
     Mancò la gota e ’l labbro, e cadde in seno;
     Disse agl’altri: Chi sta meglio di nui?


XLV.1


Illustre Duce che i trionfi tuoi
     Conti con le battaglie, e questa gloria
     Hai sovra gli altri bellicosi Eroî,
     Che dovunque vai Tu, va la vittoria:
5Sì ben la Tracia abbatti e i furor suoi,
     Che non v’ha tra le prische ugual memoria;
     E l’ampia strage oggi palese a noi,
     Toglierà fede alla futura istoria.
Or ecco il brando, che dall’alta Roma
     10Ti manda il pio Clemente, onde trafitta
     Sia l’Asia, e i lauri accresca alla tua chioma.
Stringilo, o Duce, con la destra invitta:
     E qual diè nome a Scipio Africa doma,
     Dia più bel nome a te l’Asia sconfitta.


  1. Al Serenissimo Principe Eugenio, in occasione dello Stocco mandatogli da nostro Signor Papa Clemente XI.