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XXXVII.


Due ninfe emule al volto, e a la favella,
     Muovon del pari il piè, muovono il canto:
     Vaghe così, che l’una all’altra a canto
     Rosa con rosa par, stella con stella.
5Non sai, se quella a questa, o questa a quella
     Toglia, o non toglia di beltade il vanto:
     E puoi ben dir: null’altra è bella tanto,
     Ma non puoi dir di lor, questa è più bella.
Se innanzi al Pastorello in Ida assiso
     10Simil coppia giugnea, Vener non fora
     La vincitrice al paragon del viso.
Ma qual di queste avrebbe vinto allora?
     Nol so: Paride il pomo avrìa diviso,
     O la gran lite penderebbe ancora.


XXXVIII.


In quell’età ch’io misurar solea
     Me col mio Capro, e ’l Capro era maggiore,
     Anava io Clori, che insin da quell’ore
     Maraviglia, e non Donna a me parea.
5Un dì le dissi: io t’amo, e ’l disse il core,
     Poichè tanto la lingua non sapea:
     Ed ella un bacio diemmi, e mi dicea:
     Pargoletto, ah non sai che cosa è Amore.
Ella d’altri s’accese, altri di Lei,
     10Io poi giunsi all’età, ch’uom s’innamora,
     L’età degl’infelici affanni miei.
Clori or mi sprezza, io l’amo insin d’allora;
     Non si ricorda del mio amor costei:
     Io mi ricordo di quel bacio ancora.


XXXIX.


Vago, leggiadro, caro Bambolino,
     La tua Germana ov’è? più non la vede
     L’usato fonte, e ’l bel colle vicino:
     Dimmi ov’andò col gregge, e quando riede?
Se dir lo sai, vò darti un porporino