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XXXV.1
A governar di Pietro il sacro legno
Venne dal bel Metauro, il gran Nocchiero:
Oh qual nuovo per l’onde aspro sentiero
Oltre le mete dell’Erculeo segno!
5Ma scorgo, ahimè, che intorno arman lo sdegno
Volturno ingiurioso, Affrico altero:
Quà latra Scilla, e là Cariddi il fero
Seno profonda, ov’han le furie il regno.
Ahimè le vele, ahimè l’onda rubella!
10Ma tu la reggi, e nel suo gran periglio,
Passa la neve e il mio destin con ella.
Così dal lito a te, Signore, il ciglio
Dicea volgendo Italia, Italia bella,
Di cui tu fosti e difensor e Figlio.
XXXVI.2
Che se tornar dopo tant’anni e tanti
Il divin Raffaello alla primiera
Vita potesse, e rinnovar suoi vanti,
Qual si rinnova la Fenice altera!
5Bello il veder le chiare ombre di quanti
Pria dipinsero, e poi corona e schiera
Fargli d’intorno, ed esso agli altri avanti
Spiegar la non mai vinta alta bandiera!
Ma che direbbe poi veggendo il pio,
10Figlio anch’ei del Metauro, Eroe cui porse
Roma l’Impero, e il Ciel le chiavi offrio?
Padre, e Signor direbbe, e qual mi scorse
Ventura, ah ben dovea sorgere anch’io,
Or che Giulio e Leone in Voi risorse.