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V


Tu nol credevi, empia Sionne; il forte,
     Il feroce Latino eccolo: oh quanti
     Seco al tuo scempio ei mena! Or l’alte porte
     Veggio e i gran templi e i muri arsi ed infranti.
5A te mesta sedente, a te davanti
     Passan tuoi figli, che rapiti a morte
     Van dietro al vincitor chini e tremanti,
     E miran torvi l’aspre lor ritorte.
Non trovi oppressa, e in atre bende avvolta,
     10Pietà in quel Dio, che a tua salute or serra
     Le vie già usate, e ai pianti tuoi non bada.
Vedi sol l’ira sua, che a te rivolta
     Rota d’intorno insanguinata spada,
     E caccia gli Empi dall’iniqua Terra.


FRANCESCO MARIA ZANOTTI.


I


Quand’io penso all’Augel, che dal Ciel venne
     E il Garzon Frigio si recò sul dorso,
     Il qual gridando invan chiedea soccorso,
     Ch’ei già per l’ampio Ciel battea le penne,
5Io dico fra di me; che non avvenne
     Lo stesso anche a Costei, che il cuor m’ha morso,
     E già che il grido sovra ’l Ciel n’è corso,
     Non Giove anco di lei vago divenne?
E se a mente mi vien la lunga, e tarda
     10Guerra, onde fu per duo begli occhi in tanto
     Affanno Grecia, e Troja arsa, e distrutta;
Grido: Com’esser può, che il chiaro vanto
     Della costei beltà non muova, e tutta
     Di nuova guerra Europa infiammi, ed arda?


II


Sei pur tu, che a Maria l’augusto e degno
     Capo talora, o sacro Vel, cingesti,