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     Quanta ancor del suo mal farìa pietade.
5Tal ei del Mondo per le dubbie strade,
     Lasso!, correa tra dense ombre d’errore,
     Qual uom, che colto dal notturno orrore
     Cannina, e ad ogni passo inciampa e cade.
Ma da te scese alfin propizio il raggio,
     10Raggio d’ardente carità, infinita,
     Ond’ei scoperse il fosco suo viaggio.
Quinci tornò Ragion da pria sbandita,
     Che a lui doppiando ognor speme e coraggio,
     Fida il precorre, e l’alto fin gli addita.


VI


O Sileno, il tuo giumento
     Ben cred’io, che più non possa:
     Ve’ che ei muove lento lento,
     E non è, che pelle ed ossa.
5Deh non più gli diam tormento
     Or con urto, or con percossa,
     Lasso, in piè si regge a stento,
     E già mezzo è nella fossa.
Nè rio morbo è, che lo snervi;
     10Ma rigor di fame immensa
     A lui strugge e l’ossa e i nervi;
Che del tino, e di tua mensa
     Sol ti cale. Ahi Servi, ahi Servi
     D’uom, che a se sol vive e pensa!


VII


Ier, menando i bianchi agnelli
     Lungo un Rio per verde erbetta,
     Vidi in mezzo a cento augelli,
     Grandeggiar folle civetta.
5Bel veder lei gonfia, e quelli,
     Quasi umìl turba soggetta,
     Per le siepi e gli arboscelli
     Lei seguir di vetta in vetta.
Già Reina esser si crede
     10Quella sciocca, e altera e gaia
     Già vien piede innanzi piede.