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Se il Ciel vi diè così beata sorte,
     Non sien quelle virtù, che tanto onoro,
     Dalle nuove ricchezze oppresse e morte.


ANTONIO MARIA TOMMASI.


I


Quel cieco Amor, cui cieca turba adora
     Come suo Nume, ed è suo fier Tiranno,
     Di poche rose i suoi seguaci infiora,
     E mille figge in lor spine d’affanno.
5Pur quegli Stolti il duol, ch’entro gli accora,
     Soffrendo, il rio Signor fuggir non sanno,
     E gli fan voti, e benedicon l’ora,
     In cui gli trasse nell’iniquo inganno.
Poichè sovente una bugiarda spene
     10Vie più gli accende, e dice: oh qual contento
     Nascerà in breve al cuor da tante pene!
Folli! Ma cento pur sentiro e cento
     Servi d’Amore alfin l’aspre catene
     Bestemmiar tra vergogna, e pentimento.


II


Cura, che furiando entro il mio seno
     Fai del misero cuor sì rio governo,
     Lasciami in pace omai; riedi all’eterno
     Regno del pianto, o dammi tregua almeno.
5Ah pur mi rodi, ahi pur nuovo veleno
     Barbara a’ danni miei traggi d’Inferno!
     Nè per tempo o stanchezza, a quel ch’io scerno,
     Il tuo crudo rigor può venir meno.
Pera l’empia mia Sorte: ella ti tolse
     10D’Averno, che bambina, e ancor digiuna
     Eri di sangue, e in me nudrir ti volse;
Pera.... Ma che dannar cieca Fortuna?
     Pera il mio cuor; che stolto allor t’accolse
     Con mille vezzi, e non t’uccise in cuna.