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ANTONIO SFORZA.
I
Donna gentil, nel cui volto traluce
Quel fuoco di virtù che il cuor vi accende,
Non isdegnate il basso dir, che prende
A lodar voi d’ogni bell’opra duce.
5Come vapor, che il bel fonte di luce
Con nubiloso velo ci contende,
Tempra il lume così, che men offende
Nostre pupille, ed a mirarle adduce:
Così qualora i vostri pregi ’n queste
10Mie rime adombro, io fò, che alcun s’appressi
Ad ammirar vostra virtù celeste.
Che se mostrar qual siete voi potessi,
Non m’avrìa fede il Mondo, e voi sareste
Sepolta dentro i vostri raggi stessi.
II
Dagli occhi santi, ove onestate alloggia,
E maggior possa, e più bei raggi assume,
Posso imparar con quali salde piume
L’Alma si leva, e al Ciel sicura poggia:
5Che da quel primo dì, che tanta pioggia
Versaro in me di puro amico lume,
Scosso d’intorno suo freddo costume,
Non più lo spirto al reo desir si appoggia.
Ma non posso imparar lo stil, che serpe
10Per entro al’Alme, e con tal modo destro
Incanta, e lega, e il cuor dal seno sterpe:
Ch’ella non l’ebbe già per caldo d’estro,
Nè per Apollo, o per dono d’Euterpe,
Ma qualche Angelo in Ciel le fu maestro.
III[1]
Chi siete voi, Signore, e chi son io,
- ↑ A Dio.