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5Io così appunto, a cui con mille inganni
     Mille tempeste ha suscitato Amore,
     Appena giunto dal periglio fuore,
     Prendo diletto de’ passati affanni.
Ed il diletto poi tanto si avanza,
     10Che un pensiero entro me fomento e accoglio,
     Che ardire è pure, ed io nomo costanza.
Quindi ripien d’un forsennato orgoglio,
     Donde timor dovrei, tragge baldanza,
     E de’ miei mali sempre più m’invoglio.


II


Dolce Pensier, della mai mente figlio,
     Nodrito di dolore e di speranza,
     Veggio, che in te l’ardir tanto si avanza
     Quanto scorgi più grande il tuo periglio.
5Ed io ben folle al falso tuo consiglio
     Tutta di questo cuor dò la possanza,
     E benchè veggia l’empia tua baldanza
     A morte trarmi, a te pure mi appiglio.
E faccio come intrepido soldato,
     10Che di fuoco e di ferro in mezzo al risco
     Stassi costante del suo Duce a lato.
Ma se per secondarti opro, ed ardisco,
     Pensar dei, che dal mio pende il tuo fato,
     E t’è forza languir quando io languisco.


III1


Un dì lo Spirto, a cui forse dovea
     De’ sommi giri appartener la cura,
     Invidiosa al suo Fattor Natura
     Ruba, e ristringe entro mortale idea;
5E per non apparir del furto rea,
     Anzi trar lode dall’altrui fattura,
     In te, Donna, celò l’anima pura,
     E la gran luce anco celar credea.
Ma come, benchè in dense nubi avvolto,

  1. Alla Sigora Elena Riccoboni Ferrarese.