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Tutta spavento allor fra me diss’io:
Oh quanto è ver, che senza amaro mai
Non ha un poco di dolce uman desìo!
II1
Signor, che nella destra, orror del Trace,
Della fortuna d’Asia il crin tenete,
E con voi la Vittoria, ove a voi piace,
Compagna indivisibile traete:
5Dove di Costantin languendo giace
L’alta Real Città, l’armi volgete:
Colà scorta vi fia l’Ombra fugace
Dell’inimico Re, che vinto avete.
Ivi il mostro crudel pallido, e afflitto,
10Che torvo mira le sue piaghe spesse,
Cada per Voi nel seggio suo trafitto.
Allor vedransi in mille marmi impresse
Queste note d’onore: Al Duce invitto,
Ch'un impero sostenne, e l’altro oppresse.
III
Qual cervetta gentil, ch’ora il desìo
La chiama al monte, ora l’appella al prato,
Ed or la spinge ove gorgoglia il rio,
Or dove il colle è di più fiori ornato;
5Ma s’egli avvien, che al Pastorel, che ordìo
Insidie a belve, la palesi il fato:
Ecco cangiarsi in dispietato e rio
Il suo sì lieto, il suo sì dolce stato.
Tal vid’io Verginella ir baldanzosa
10In libertade, infinchè al Nume arciero
Santa semplicità la tenne ascosa:
Ma scopertala alfin qual ciecho e fiero
Signor, che cessi omai d’esser ritrosa
Vuole, e che prov’il suo crudele impeso.
- ↑ Al Serenissimo Principe Eugenio di Savoia per la Vittoria ottenuta contra i Turchi al Tibisco.