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XXXI


GIO. PIETRO ZANOTTI.


I.1


E qual sì industre man ritrar poteo,
     E sia qualunqu’è più chiara e famosa,
     Donna, a cui grazie il Ciel cotante feo,
     E in cui gran parte ha di sua luce ascosa?
5Tal forse in Sparta al Rapitore Ideo
     Bella apparì di Menelao la sposa,
     Onde poi la vendetta alta chiedeo
     Grecia, e guerra sostenne aspra e noiosa.
Ma tal già non avea la Grecia infida
     10Virtù, che sempre a beltà pregio accrebbe,
     Che Troia non saria distrutta ed arsa.
Dono infelice a lui promesso in Ida!
     Non così questo, onde Faustina avrebbe
     Asia sol d’onestate accesa e sparsa.


II.2


Ben mi può torre, che a mirar non giunga
     Vostre bellezze, e vostri almi costumi,
     E quei, siccom’è fama, ardenti lumi,
     Ond’avvien, ch’Amor tanti e leghi e punga:
5Ma non puo strada, e sia scoscesa e lunga
     E torta, e per dirupi aspra e per dumi,
     Nè per selve, montagne, e mari e fiumi,
     E s’altro è pur, che me da voi disgiunga,
Far ch’io non legga, e non ammiri in questa
     10Parte le rime vostre e la divina
     Virtù, per cui tanto la mente ho accesa;
E però il cuor, cui null’intoppo arresta,
     A Voi sen corre, e come Dea v’inchina
     Veracemente giù dal Ciel discesa.


  1. Per il ritratto della signora Faustina Maratti da lei donatogli.
  2. Alla stessa.