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II
Se il Mar, che dorme, e l’ingemmato Aprile
Contemplo, e il Ciel, che tante luci aggira,
Io certo giurerei, che non si mira
Altra quaggiù vista, o beltà simìle.
5Pur di beltade un paragon ben vile
Sono il Cielo, e l’Aprile, e il Mar senz’ira,
Qualora il Mondo attonito rimira
In nobiltà di stato un cor gentile.
Poi se il Verno io contemplo, e se il furore
10Del Mar, che mugghia, o il Ciel di nembi armato,
Ecco tutto d’orror mi s’empie il cuore.
Pur più del Verno, e più del Ciel irato,
E più del Mar spira d’intorno orrore
Un cuor superbo in povertà di stato.
III
Ricco di merci, e vincitor de’ Venti
Giunger vid'io Tirsi al paterno lito;
Baciar l’arene io vidi, e del fornito
Cammino ringraziar gli Dei clementi.
5Anzi perchè leggessero le Genti
Qualche di tanto don segno scolpito,
In su l’arene stesse egli col dito.
Scrisse la storia di sì lieti eventi.
Ingrato Tirsi, ingrato a i Cieli amici!
10Poichè ben tosto un’onda venne, e assorti
Seco tutti portò quei benefici.
Ma se un dì cangeransi a lui le sorti,
Scriver vedrollo degli Dei nemici
Non sù l’arena, ma sul marmo i torti.
PAOLO ANTONIO DEL NEGRO.
I
Ecco il volto leggiadro, al cui splendore
Strinsemi un tempo Amor d’aspra catena,
Cangiato sì, che il riconosco appena
Per le vestigia dell’antico ardore,