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Più che nell’onde sue l’umìl Sebeto.
E quel primier, che stile ebbe sì raro.
Se a’ dì nostri ’l rendesse alto decreto;
E di chi mai gir sen vorrebbe al paro?
XVI1
Altr’armi, altr’arti, che di Marte fiero,
Oggi Annibale appresta; armi d’Ingegno,
Che van di gloria all’onorato segno
Per dolce, ed aspro di virtù sentiero
5Quei, che di Roma contrastò l’Impero,
Ch’altro potè vantar, che un crudo sdegno
Per cui giurò, che d’ogni oltraggio indegno
Fora all’Italia apportator primiero.
Il nostro nò, chè placidi e clementi
10Vibra suoi strali: ed è sua regia sorte
Far de’ lauri di Palla ombra alle genti.
Apransi a Lui d’onor l’eccelse porte:
Che trionfar dell’espugnate menti
Gloria è maggior, che d’Annibale il forte.
XVII2
Il forte Atleta a duro tronco avvinto,
Ivi trionfa, e n’ha di gloria il Regno;
Gli strali che vibrò barbaro sdegno
L’han di lor nobil guardia intorno cinto.
5Pensò vederlo debellato, e vinto
Chi a mille dardi il pose unico segno;
Ma il sangue ch’ei diffonde è a lui sostegno.
Balsamo al suo morir, vita all’estinto.
Nella felice avventurosa schiera,
10Che di Martirio aurea corona ottenne,
Qual’alma andrà più de’ suoi pregi altera?
Tra’ duri lacci a libertà pervenne;
Ed a volar sulla celeste sfera,
Gli strali, ond’è trafitto, a Lui fur penne.