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Scorgeane un’altra in tue sembienze elette,
E in quel viso a me piacqui, ed in quei neri.
5Ma ilumi, u’ mi specchiai sì volentieri,
Oggi, ahi!, morte ferì di sue saette;
Svenner le guance, e ’n lor le due pozzette,
Nè queste, o Figlio, è il bel proffil di jeri.
Anzi di me la miglior parte or langue;
10Che il più teco ne venne, ed io qui resto
Poco meo che nud’ombra, e corpo esangue,
Se dunque rechi entro l’avel funesto
L’amor del padre e le fattezze e ’l sangue,
Deh, Figlio, omai che non ti porti il testo?
II
Ma verrà pur quel dì de’ giorni fine,
In cui sveglin le trombe il figlio mio,
E ’l rivedrò, non qual mi disse addìo,
Coll’egre luci a chiudersi vicine;
5Ma cresciuto e felice oltre il confine
Di sei lustri, ove d’uno appena uscio,
Alzar gli occhi e la testa al Ciel natìo,
E stender luugo e ventilante il crine.
Lui della faccia alle pozzette, al riso
10Conoscerò; nè, perchè sia più bello,
Perdute avrà sue somiglianze il viso.
Figlio, ha tutti vedianci in un drappello:
Tu fra la madre e due germane affiso,
Ed io fra l’uno e l’altro tuo fratello.
III
Odo una voce tenera d’argento,
Donde uscita non sò, chiamarmi a nome
Chi sei? non veggio altro, che l’onda, e il vento
Del circostante allor scuoter le chiome.
5E pur me, nuovamente avvien, che nome
Il vicino invincibile concento,
Onde in petto destarmi, e non so come,
Amore insieme e maraviglia io sento.
Ah sei tu, che a me riedi, o piccol Figlio