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Di Caria, e fu dell’Asia alle Reine
Lungo argomento di memoria acerba?
5Ohimè, che sparsa a terra giacque, ed erba
Steril la copre! Ohimè che bronchi e spine
Serpon su quell’antiche ampie rovine,
Se pur di lor vestigio anco si serba!
Oh tempo edace! E come mal s’adopra
10Chi Reggia innalza, chi la pioggia e il vento
Percuota, e poca arena al fin ricopra!
E come meglio in Cielo il fondamento
Gittar si può di memorabil opra,
Ch’eterna fia dopo cent’anni e cento!
VI1
Qual feroce leon, che assalit’abbia
Pastor malcauto, e il preme e’n fuga il caccia:
Quei d’elce o quercia all’alte annose braccia
Ricovra, e schiva del crudel la rabbia,
5Il qual gli è intorno e con spumanti labbia
Ruggendo il mira e pur quel tronco abbraccia
Coll’unghie adunche, e il crolla, e pur procaccia
Salirvi, e sparge in van col piè la sabbia
Così Costei, che del leon d’Inferno
10Fuggì gli artigli, ed ha ricovro amico
Su i santi rami del gran tronco eterno:
L’ira non teme più del fier nemico,
E lo vedrem pien d’aspro duolo interno
Tornar ruggendo a quel suo centro antico.
VII2
Vidi l’Italia col crin sparso incolto
Colà, dove la Dora in Pò declina,
Che sedea mesta, e avea negli occhi accolto
Quasi un orror di servitù vicina.
5Nè l’altera piangea; serbava un volto