![]() |
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. | ![]() |
248 |
Che non vede in altrui la sua tempesta.
Ma che? quell’altre tavole minute,
10Rotta l’antenna, e poi smarrito il polo,
Vedrem tutte ad un soffio andar perdute.
Italia, Italia mia questo è il mio duolo:
Allor siam giunti a disperar salute
Quando pensa ciascun di campar solo.
II
Io grido, e griderò, finchè mi senta
L’Adria, il Tebro, il Tirren, l’Arno, ’l Tesino,
E chi primo udirà, scuota il Vicino,
Ch’è periglio comun quel, che si tenta.
5Non val, che Italia a’ piedi altrui si penta,
E obbliando il valor, pianga il destino;
Troppo innamora il bel terren Latino,
E in desìo di regnar pietate è spenta.
Invan con occhi molli, e guance smorte
10Chiede perdon; che il suo nimico audace
Non vuole il suo dolor, ma la sua morte.
Piaccia il soffrire a chi ’l pugnar non piace:
È stolto orgoglio in così debil sorte
Non voler guerra, e non soffrir la pace.
III
Poco mi resta, è ver, da solcar l’onda,
Che dovrìa farmi al navigar più franco,
E pur m’affligge il non saper pur anco
D’uscire in gola al mare, o in lieta sponda.
5Tempo più che mai fiero or mi circonda,
E benchè fra tempeste il crine ho bianco,
Già più saggio non son, ma son più stanco,
E senz’armi, e consiglio il legno affonda.
Fu il mio cammin sì mal guidato, e torto,
10Che senza miglior guida io temer deggio
Di finir nello scoglio, e non nel porto.
Ben del corso affannoso al fin mi veggio;
Ma non so per qual meta. Ahi qual conforto
Finire un mal con paventarne un peggio!