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Accese alfin da desioso zelo
     Di riveder l’antica lor bellezza,
     Sen ritornano insieme unite al Cielo.


V1


Qual mai non vide in terra occhio, o pensiero
     A me, da me diviso, un dì s’offerse
     Dal lido occidental, Lume sì altero,
     Che la luce del Sol tutta coperse.
5Or mansueto, or minaccioso, e fero
     Quinci alle genti amiche, indi all’avverse,
     Ei tosto all’Indo, e all’Oceàno Ibero,
     All’Austro, e all’Aquilon la via s’aperse.
Parea, che intanto vagamente adorno
     10De i nuovi raggi in ogni parte al Mondo
     Lieto più dell’usato ardesse il giorno.
Risorto alfin da quell’obblìo profondo
     Sol vidi ovunque io volsi gl’occhi intorno
     Il bel di tue virtù splendor giocondo.


VI2


Qual Fiumicel, che se tra verdi sponde
     Nutre erbe e fior di vago prato in seno,
     Limpida è sì, che specchio al Ciel sereno,
     Alle Ninfe, e a’ Pastor forma coll’onde;
5Ma se per valli paludose immonde
     Rivolge il corso, o in arido terreno;
     Coll’alto limo, onde il lor fondo è pieno,
     La chiarezza natìa mesce, e confonde,
Tal il fuoco d’amor chiaro risplende,
     10Ardendo in cuor gentil: ma in rozzi petti
     Perde il suo lume, oscuro e vil si rende.
Amor dunque non è, che i nostri affetti
     Al bene, o al mal diversamente accede;
     Ma o buoni, o rei, prende da noi gli effetti.

  1. Coronale per l’augustissimo Imperatore Carlo VI.
  2. Se l’Amore sia degno di lode, o di biasimo.