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DONATO ANTONIO LEONARDI.


I


Alma, che sei nella prigion de’ sensi
     Da mille lacci incatenata, e avvolta,
     E vaga del tuo male ancor non pensi
     Alla tua libertà, misera e stolta;
5Mira il Ciel, com’è bello, e negl’immensi
     Giri dell’alte sfere agile, e sciolta
     Spiega i desiri di bel foco accensi,
     E Ragion, che ti sgrida, odi una volta.
Ma tu, che vinta sei dal tuo costume,
     10Corri dove ti chiama un riso, un guardo,
     E non hai per lassù desìo, nè piume.
Ah! pria che Morte avventi il fatal dardo,
     Alza gli occhi, ti prego, a più bel lume:
     Che non giova il pentirsi, allorch’è tardo.


II


Qual pellegrin, che dal viaggio stanco
     In sul Meriggio a riposar si pose,
     E sull’erbe adagando il debil fianco
     In un placido sonno i lumi ascose;
5Poi quando si credea libero e franco
     Seguir la via, che di calcar propose,
     Destossi, e rimirò tremante e bianco,
     Che avean l’ombre il color tolto alle cose.
Tal’io del Mondo nella via fallace
     10All’ombra mi posai d’un viso adorno,
     Tra le catene mie dormendo in pace.
Or, che Ragion mi desta, io cerco il giorno,
     E veggio spenta ogni benigna face,
     E sol tenebre, e notte a me d’intorno.


III


S’Io mi fermo a pensare in che fu spesa
    L’età mia più fiorita, e più ridente,