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Sulla scorza del Faggio, e dell’Abete.
Coridon, ch’amò tanto, e pianse invano,
Su i medesimi tronchi indi scrivete,
Per miracol de’ Numi have il cuor sano.
XII
Mirando il volto, ove le nubi, e ’l fuoco
Porta lo sdegno, e i rai copre d’oscuro,
Scritto vi leggo aspro decreto, e duro
Che dice: fuggi, o tu morrai fra poco.
5Lasso!, e lungi da lor non trovo loco,
Ch’eglino il Sol della mia vita furo,
Ond'il viver senz’essi omai non curo,
E morte chiamo, e per gridar son roco.
Vaghe luci omicide, altro conforto,
10Poichè il mirarvi, e lo star lungi ancora
M’uccide, altra speranza al cor non porto.
Se non è gran mercede a chi v’adora,
Che l’armi elegga, ond’ei debb’esser morto,
Piacciavi, ch’io vi guardi, e poi ch’io mora.
XIII[1]
Se il merto, o Amici, oggi da voi s’onora,
Abbia questo, ch’io cedo onor sovrano
Colui, che primo per le vie di Flora
Segue il gran Cosmo, e gli sostien la mano.
5Di Malta al Soglio non asceso ancora,
Così dicea l’eletto Eroe, ma invano;
Invan, ch’ei più di sè l’alme innamora
Coll’atto umìle, e col sembiante umano,
Quinci salìo sul Trono, e il Popol folto
10Lui salutando dividea la lode,
Qual solea fra gl’Augusti in Campidoglio.
- ↑ Il Baly Fra Marco Zondadari sentendosi acclamare gran Maestro, modestamente ritroso propone il gran Priore di Pisa Frà Domenico del Bene Maestro di Can. di S. A. R.