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     E ’l veggio d’ira e di furor sì tinto,
     Che l’Alma sbigottita al cor s’interna.
5Veggio il gran corso ver la valle inferna;
     E ’l vaneggiar de’ miei pensier sospinto
     Fuor dell’usanza sua, rimane estinto,
     E provvido timor me sol governa.
E veggio quei, che dall’eterno danno
     10Muovono lungi, e infra i beati Cori
     Su per lo Ciel a seggi lor sen vanno.
Gran ministri di Dio fansi i colori
     Della bell’arte alla mia mente, e sanno
     Darle nuovi pensieri e nuovi ardori.


II


Poichè l’anima mia fuor del suo grave
     Lieta o dolente o disperata ancella
     Trarre altrove dovrà vita novella,
     Perchè tanto disprezza, e nulla pave?
5Perchè tanto le par cura soave
     L’esser al suo Signor sempre rubella?
     Senz’ancora sen passa, e senza stella,
     Qual tra procella temeraria nave.
Oh se vedesse un dolce raggio eterno,
     10O un lampo sol di quel tremendo giorno,
     Che l’estremo di noi farà governo,
Che partirà le pene, e i premi intorno!
     E Muse, e Amor si prenderebbe a scherno,
     E penserebbe all’immortal soggiorno.


III


Non è costei dalla più bella Idea,
     Che lassù splenda, a noi discesa in Terra;
     Ma tutto il Bel, che nel suo volto serra,
     Sol dal mio forte immaginar si crea.
5Io la cinsi di gloria, e fatta ho Dea,
     E in guiderdon le mie speranze atterra:
     Lei posi in regno, e me rivolge in guerra,
     E del mio pianto di mia morte è rea.
Tal forza acquista un amoroso inganno,