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Nel mar di morte la turbata e bruna
Onda va de’ miei giorni a metter foce.
Nè chieggio il nuoto, onde potèo l’oppresso
10Cesare, ad onta de l’Egizie squadre,
Campar gli Scritti, e preservar sè stesso,
Chieggio sol, che (alle mie poco leggiadre
Rime se sperar vita unqua è concesso)
Abbian vita le figlie, e pera il Padre.
XI1
Questa, che scossa di sue regie fronde
Sol con l’augusto tronco ombra facea
Gran pianta eccelsa, e tanto al Ciel s’ergea,
Quando fur sue radici ampie e profonde;
5Questa, ove nido fean gli ingegni, e d’onde
Virtù sostegno e nudrimento avea,
E che di gloria i rami alti stendea
Dal Caspia lido alle Tirintie sponde:
Ecco cede al suo peso, ecco dall’ime
10Parti si schianta, e ciò ch’un tempo resse,
Con la cadente sua grandezza opprime;
E, come il Mondo al suo cader cadesse,
Strage apporta sì vasta e sì sublime,
Ch’han maestà le sue ruine istesse.
XII
Grande fui mentre io vissi, e scettro tenne
Per me Virtute, e ’l tenni anch’io con lei,
E lei cadente sostener potei,
Ed un soglio medesmo ambe sostenne.
5E le Latine, e le Toscane penne,
E l’Arti tutte, che più belle io fei,
Mi fur serve, e dier legge i cenni miei
Alla Fama, e ’l mio dir Fama divenne.
Onde l’erranti Stelle appena in parte
10Potean dall’alto rimirar quant’io
- ↑ Questo Sonetto, e i due seguenti sono in morte di S. M. R. Cristina Regina di Svezia.