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    Da quella avvinti a Dio davanti ei mena;
     E ’l vasto oscuro Abisso il segue appena,
     Per lunghe etadi indebolito e stanco.
Strano a mirar que’ Secoli vetusti,
     10Quei nuovi, e que’ che ancor credea nascosi
     Nell’ampia ruota del maggior Pianeta!
Tutti ha presente il sommo Nume, e angusti
     Son quegli Abissi immensi e tenebrosi
     Al guardo suo, che non ha fine o meta.


XXII


O Tu, che gli anni preziosi e l’ore
     Ne’ vani studi consumando vai,
     E sol tesoro all’altre età ne fai
     Pe ’l brieve acquisto di fugace onore;
5Veggoti già per fama altrui maggiore,
     Maggiore in merto: ma d’acerbi guai
     Qual messe dopo morte alfin corrai,
     Se tardi apprendi a divenir migliore?
Ascolta, ascolta: nell’estremo giorno
     10Andrà il tuo nome in sempiterno obblio,
     E frutto avrai sol di vergogna e scorno.
Ecco, diran le genti, il pazzo, il rio,
     Che di sublime chiaro ingegno adorno,
     Tutt’altro seppe che se stesso e Dio.



ABATE GIO. MARIA CRESCIMBENI.


I


Io chiedo al Ciel, chi contra Dio l’indegno
     Misfatto oprò, cui par mai non udissi?
     Dic’ei: fu l’Uomo, e di dolor in segno
     Io cinsi il Sol di tenebroso ecclissi.
5Al Mare il chiedo: anch’ei, su duro legno,
     Grida, l’Uomo il guidò: qual nei sentissi
     Doglia, tel dica quel sì giusto sdegno,
     Ond’io sconvolsi i miei più cupi abissi.