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     Che ingannato riman chi troppo crede.
E quel, ch’è peggio, ritornar vorrei
     10A vivere a me stesso; ma non puote
     Sciorsi dal forte nodo il cor, ch’è frale.
Per vedere alla fin se Amor si scuote,
     Cerco mostrare in carte i torti miei;
     Ma contra forza la ragion non vale.


III


Stancato già di più vedermi intorno
     Gente, c’ha mele in bocca, assenzio in core,
     A voi, selve rommìte, amico orrore,
     Stanza de’ Semidei faccio ritorno.
5Col soffrire, e tacer sperava un giorno.
     Vedere al genio mio sorte migliore:
     Ma ingannato alla fin dal dolce errore,
     Prendo me stesso, e la mia vita a scorno.
Più non sia, che l’invidia in torvo sguardo
     10Contra rozza capanna il dente arrote,
     Nè che più mi lusinghi un finto Amico.
Tardi mi avveggio dell’error; ma tardo
     Non fu già pentimento, allor che puote
     Virtù nuova sgridare il fallo antico.


IV


Che sperasti di fare, o ingiusta Morte,
     In togliermi colei, ch’io chiamo invano?
     Forse mostrar, che ’l tuo valore insano
     A i Numi stessi fa l’ore più corte?
5T’inganni: ella contenta di sua sorte
     Più che mai vive al piè del suo Sovrano:
     Rimango io sí, come da lei lontano,
     Non morto ancora, ma condotto a morte.
Anzi splender tu fai tanto più bello
     10Quello spirto gentile, al quale il velo
     Di cieca umanità molto togliea.
Ricco di nuova stella io veggio il Cielo;
     Privo di Lilla il Mondo, e non potea
     Più perder questo, nè acquistar più quello.