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     O del soave altero lume adorno,
     Avanzi amari, empie reliquie ardenti;
5Voi larve, voi de’ miei piacer già spenti
     Ombre, e del ben, che mi fea chiaro il giorno;
     Or di flagelli armate entro e d’intorno
     Siete ministre, ohimè! de’ miei tormenti.
Lasso! che son? che fui? Dal terzo Cielo
     10Fra le grazie e i diletti e i dolci amori,
     Come nel foco alfin caddi, e nel gelo!
Dell’inferno d’Amore i cupi orrori
     Han di stige il rigor: ma (quel, che anelo)
     Non han di Lete i disperati umori.


III


Filli, ti sacrai l’alma, e non fu mai
     Di quel, che a te mi strinse, amor più bello,
     Ma nè pur del tuo core un più rubello
     Sotto più belle forme unqua mirai.
5Che mentre per fallaci infidi rai
     Mi tralucea sì vago, io corsi a quello:
     Ma, come a chiaro specchio incauto Augello,
     Trafitto in aria al bel lume restai.
E caddi semivivo, e prigioniero
     10Mi ritenesti in gabbia d’oro, e invano
     Salute e libertade indi più spero.
Pur non men dolsi; ma ben fu inumano
     Strazio, quando il mio cibo lusinghiero
     Porger’io vidi altrui dalla tua mano.


PIETRO PAOLO CARRARA.


I


Frema pur di fortuna il mare irato
     Contra il naviglio dell’afflitto core,
     E muova a danni suoi pien di rigore,
     Con orride tempeste avverso fato:
5Ch’io di coraggio, e sofferenza armato
     N’andrò bersaglio del crudel furore,