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II1


Pallante, ho quanto è giusto il tuo furore:
     E il pianto che t’inonda e gli occhi e il seno,
     Se la stessa natura al grand’orrore
     Di sì crudo spettacolo vien meno.
5All’empio che ancor spira astio e terrore
     Presso cui Stigia Furia orrida è meno,
     Dì pure che quel suo barbaro core
     Il latte che succiò, cangia il veleno.
Ma d’Agrippina il sangue allor che fea
     10Dal suo carcere sciolto, il suolo vermiglio,
     Col pianto universal misto correa.
Frena dunque lo sdegno, e tergi il ciglio:
     Che aver pietà di madre iniqua e rea
     Opra fu sol dell’empietà del figlio.


III


Roma ch’ergesti le tue moli altere,
     Dove campi dell’aria hanno il confine,
     Dimmi, perchè sull’alte tue ruine
     Ridon ora de’ fior tutte le schiere?
5Se cadde a terra quel superbo crine,
     A che serti intrecciar le Primavere?
     Solo dovean qui meste piante e nere
     Delle grandezze tue piangere il fine.
Roma, le tue cadute io piango ognora
     10E vò che questa destra ora recida
     Sovrà i sepolcri tuoi Aprile, e Flora.
Errai. Superbia ancora in te s’annida:
     Ti vinse il tempo è ver, ma vinta ancora
     Delle perdite tue par che tu rida.

  1. Si parla a Pallante piangente, e furioso contro Nerone parricida d’Agrippina.