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CAPITOLO II.


Presso a poco alla medesima ora che i corrieri partivano dalla stanza di Messala, essendo ancora di buon mattino, Ben Hur entrò nella tenda di Ilderim. Aveva fatto un bagno nel lago, aveva mangiato, ed ora appariva vestito di una semplice tunica, senza maniche, che appena gli copriva le ginocchia.

Lo sceicco lo salutò dal divano.

— «La pace sia con te, figlio di Arrio» — diss’egli con ammirazione; e in verità egli non aveva mai veduto un così splendido rappresentante di virile bellezza e di gioventù. Poi continuò; — «I cavalli sono pronti, ed io pure. Lo sei tu?» —

— «La pace che tu mi auguri, buon sceicco, te la contraccambio. Sono pronto.»

Ilderim battè le mani.

— «Farò condurre i cavalli. Siediti.» —

— «Sono aggiogati?» —

— «No.» —

— «Allora permetti ch’io mi serva da me stesso» — disse Ben Hur. — «E’ necessario che io faccia la conoscenza de’ tuoi Arabi, che io sappia i loro nomi, o sceicco, affinchè possa parlare a ciascuno di essi. Così pure devo conoscere bene i loro caratteri, perchè essi sono come tutti gli uomini; se audaci, vanno frenati, se timidi, la lode li anima e li sprona.

— «E il cocchio?» — chiese lo sceicco.

— «Per oggi lascerò stare il cocchio. Invece mi apprestino un quinto cavallo, se ne hai senza sella, e rapido come il lampo.» —

La curiosità di Ilderim era stata stimolata, e perciò egli chiamò subito un domestico.

— «I finimenti per quattro cavalli» — ordinò — «e la briglia di Sirio.» —

Ilderim si alzò.

— «Sirio è il mio cavallo favorito, o figlio di Arrio. Siamo stati compagni per venti anni nella tenda, in battaglia, nella carovana. Te lo farò vedere.» —