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risentito il brio sino alla pazzia, ora incominciavano a provare una certa noja, quasi quasi un disgusto di proseguire. Un poeta, o meglio un coreografo avrebbe avuto l’ispirazione d’una danza in un sogno. Povero maestro dei ballabili! aveva sciupato in una volta tutto il suo entusiasmo artistico, ed ora non poteva dare altro che noja; s’era sforzato di far mostra del suo più bel sorriso, ed ora faceva vedere uno sbadiglio. Tutti, non volendo, avevano lo stesso desiderio di farla finita con la danza; ma nessuno forse sospettava che la ragione di quel fenomeno, affatto nuovo, era proprio colui, quel povero maestro dei ballabili, inchiodato lì su quella sedia, alzando e abbassando le mani come un automa.
Sola Nina, ch’era un’intelligente fanciulla, e che possedeva il sentimento dell’interpretazione, sola Nina ebbe a dire:
— Basta adesso; il maestro s’è stancato, — e poi е a voce più bassa, — e le nostre orecchie si sono stancate peggio.
Errico s’alzò e immantinenti fu visto uscir della sala. Il consigliere lo seguì nella stanza attigua.
— Lei è in libertà, maestro; resti, vada... faccia quel che le piace. Mia figlia ha detto basta e basta per questa sera.