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Naja Tripudians 39


tasca e si scrutava; si esaminava gli occhi, la bocca, il naso, le gengive, la gola.... Nulla.

Passarono quattro anni. Passarono cinque anni. — Nulla. Jean Vital riprese a lavorare e a vivere. Era rimasto incolume; era sfuggito al contagio. La sua gioventù, il suo sangue sano avevano trionfato della mostruosa contaminazione.

Ed era un uomo felice. Il fatto di essere sano, di avere le carni illese, era per lui una fonte di perenne, estatica esultanza; non era la passiva, quasi inconscia, soddisfazione dell’uomo che gode di una salute normale. No; Vital ogni giorno, ogni momento si compiaceva nel constatare che il suo corpo era incorrotto, il suo sangue mondo, terse le carni vigorose; e questa constatazione gli pareva quasi una vittoria sui fati, una conquista personale della sua robusta virilità.

Passarono otto anni. Vital tornò in Francia. Aveva danari. Pensò a prender moglie. Scelse con prudenza e deliberazione. Scelse la più bella e saggia fanciulla del suo paese. E quando l’ebbe chiesta e ottenuta, se ne innamorò perdutamente, pazzamente, sentendo rinascere in sè la passione scordata o frenata