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390 | annie vivanti |
Anne-Marie era avvezza alle visite; era abituata a trovar gente che la aspettava. E vedendo questo straniero che era balzato in piedi al suo apparire, e che ora la fissava con occhi veementi e lagrimosi, ella stese la tiepida manina a salutarlo. Anne-Marie aveva già visto molti stranieri, e molti occhi lagrimosi. Non ne fu dunque nè commossa nè sorpresa.
— «Bonjour», diss’ella, giudicando dalla barba.
Poi si appressò a sua madre.
— Guarda il mio pallone, Liebstes, — disse, facendo scivolare il cordoncino dal suo polso.
Subito il pallone salì, rapido e lieve, e andò a battere pian piano contro la soffitta. Gli occhi disperanti di Anne-Marie lo seguirono... La stanza era alta. La cordicella pendeva lontana, fuori della portata d’ogni mano umana.
Ma l’uomo colla barba le aveva afferrato il polso, e glielo baciava.
— Anne-Marie!
Anne-Marie ritrasse la mano e se la stropicciò lievemente sulla veste.
Egli ripetè:
— Anne-Marie! — con voce rauca, e congiungendo le mani. — Guardami, — disse.
E, docili, gli occhi celesti lasciarono il soffitto e si posarono sul volto di lui.
— Bimba mia, bimba mia! Ti ricordi di me?
— Sì, — disse prontamente e inveracemente Anne-Marie.
(In simili occasioni Fräulein l’aveva tante volte rimproverata se rispondeva «no».
— È scortese dire: «no» a quel modo. Per non offendere devi dire: «Forse... non sono sicura... Mi pare di ricordarmi... — ammoniva la Fräulein.
Ma Anne-Marie amava di essere breve. — Oh! se non devo dire di no, dirò di sì!