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i divoratori | 377 |
gico giardino, tutto acceso di fiori incantati che si chinavano al suo passare.
I concerti erano la sua gioia. La sua chiara anima era colma di musica, e come da un puro e prescelto vaso essa ne versava la melodiosa piena sul mondo ascoltante.
Suonando, ella compiva la sua missione, così come un’allodola deve cantare.
Un giorno a Genova la condussero a vedere il violino di Paganini, muto e sigillato nella sua cassa di vetro al Municipio. Essa lo contemplò a lungo silenziosamente. Poi distolse lo sguardo.
— Cosa pensi, cuor mio? — chiese Nancy. — Perchè sei triste?
— Penso — disse la ragazzina con occhi solenni — come deve soffrire quel violino di essere chiuso là dentro; come la sua voce deve fargli male! Chi sa come si strugge di poter cantare!
L’osservazione fu udita e ripetuta. Giunse alle orecchie del Sindaco di Genova. Un giorno, con grande pompa, Anne-Marie fu invitata al Palazzo del Municipio, e colà, davanti ai pochi invitati, furono tolti i sigilli: il sacro istrumento dell’immortale Nicolò fu posto tra le ténere mani della bambina.
Da tre notti essa non dormiva pensando a questo grande momento: sognando la gioia di quella fremebonda voce imprigionata, quando le sue dita l’avrebbero resa alla libertà!
Rapidamente essa infilò un nuovo cantino, traendolo sopra il ponticello scolorito. Poi pizzicò, lieve, le corde, chinando il capo ad ascoltare. Ed ora, alzando l’arco, con attacco vibrante spezzò i ceppi del silenzio che gravavano sulle frementi corde... L’accordo di re minore risuonò, tremolante e flebile.
Anne-Marie rialzò l’arco e attaccò un altro accordo,