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i divoratori 363


scorso ella era stata trafugata dai Nichilisti in Russia, che l’avevano tenuta per tre settimane in una specie di sotterraneo, e aveva dovuto suonare delle ore e delle ore, ogni volta che questi barbari glielo comandavano. Liberandola, le avevano poi regalato una collana di brillanti del valore di ottanta mila lire. Già; la piccina possedeva gioielli e decorazioni per oltre mezzo milione. Aveva due Stradivari. Uno aveva appartenuto a Wagner. L’altro allo Czar.

Alla fine d’ogni concerto l’impresario usciva con loro dalla sala degli artisti. L’impresario portava in braccio Anne-Marie attraverso le folle plaudenti. L’impresario portava i fiori e il violino. L’impresario saliva in carrozza con loro, e dalla finestra era lui che faceva colla mano cenno d’addio alla gente, quando Anne-Marie era troppo stanca per affacciarsi.

Anne-Marie sedeva rincantucciata e zitta in fondo alla carrozza, e s’addormentava. Nancy si mordeva le labbra per non piangere.

Di fuori Bemolle, seduto a cassetta, ruminava neri pensieri e scagliava mentalmente sull’impresario dei sortilegi malefici che nel suo paese da più secoli si ritenevano infallibili.

Questo durò un mese. Al trentunesimo giorno Anne-Marie disse:

— Non voglio più vedere quell’uomo. Mai. E non voglio che porti mai più il mio violino.

— Va bene, cara, — disse Nancy.

— E voglio andare in campagna; e voglio mangiare sull’erba delle cose in pacchettini; e bere del latte che si porta in una bottiglia.

— Va bene, tesoro. Lo faremo, — disse Nancy.

— Sarà molto bello, — disse Anne-Marie.

E lo fecero. E fu molto bello.