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i divoratori 359


Aveva già fissato, prima di partire da Parigi, quattro concerti «Colonne» per Anne-Marie. Lui non era uno dei vostri impresarii-marmotta. Nossignore. Ecco il contratto già pronto in duplicato da firmare.

Il lucido occhio dell’impresario si posò un istante con critico esame su Bemolle. Poi, in uno sguardo rapido, misurò Fräulein; e da Fräulein il suo occhio accorto passò al dolce viso un po’ incantato di Nancy. Bene. L’impresario era contento. Con queste persone si poteva andar d’accordo. In quanto ad Anne-Marie l’impresario non le badò affatto. L’aveva udita a suonare due volte. Bastava. Anne-Marie come Anne-Marie non lo interessava. Anne-Marie come artista lo interessava ancora meno. Anne-Marie era semplicemente la piccola «boîte à musique», sorprendente e sensazionale, equivalente a una somma di denaro in sei cifre nel suo portafogli.

Ecco dunque il contratto. Chi lo firmava? Non c’era padre? Bene, bene. Lo firmasse pure la madre, che faceva lo stesso.

Nancy espresse timidamente l’opinione che forse prima di firmarlo era bene leggerlo, e tutti, anche l’impresario, furono d’accordo con lei.

Dunque Nancy, Bemolle e Fräulein lessero con grande cura il documento; mentre l’impresario beveva del Malaga e fumava delle sigarette. Egli aveva un certo modo di aspirare brevemente l’aria, facendo colle narici un piccolo rumore soddisfatto e aspettante, e poi di mandar giù la saliva, cogli angoli della bocca rivolti in su, che dava sui nervi a Nancy, e le impediva di capire ciò che leggeva nel contratto.

C’erano quattordici clausole.

— Vi pare tutto giusto? — chiese Nancy piano a Bemolle.

Bemolle aggrottò le ciglia colla sua più severa aria d’uomo d’affari: e Fräulein disse: