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358 | annie vivanti |
— Io credo — disse Nancy — che forse faremmo meglio ad avere un impresario. Mi pare che facciamo molti pasticci nei nostri affari.
Dunque fu deciso che prenderebbero un impresario. Dopo molte titubanze, incerti tra il piccolo genovese bruno che li aveva seguìti per tutto il Continente e il grande impresario di Parigi che si era offerto telegraficamente una volta sola, decisero finalmente in favore di un simpatico uomo biondo che avevano conosciuto a Vienna, d’apparenza seria e onesta, e che aveva promesso loro delle cose mirabolanti. Gli telegrafarono subito; già, nessuno scriveva mai lettere. L’enorme corrispondenza che arrivava da tutte le parti del mondo, vagava dalle tasche di Bemolle alle cartelle di Nancy, poi, dopo una breve sosta nelle valigie di Fräulein, spariva nei bauli e veniva portata in giro per il mondo in grandi buste gialle coll’iscrizione: «lettere da rispondere».
L’impresario di Vienna rispose chiedendo duecento corone per le spese di viaggio; che gli furono prontamente e telegraficamente mandate.
Poi l’impresario non arrivò.
— Questo non dobbiamo tollerarlo, — disse Fräulein.
E non lo tollerarono. Andarono da un avvocato, che richiese la corrispondenza e centocinquanta lire per le spese preliminari. Queste gli furono date. E la cosa finì lì. Eccetto che circa un anno dopo, quando avevano già dimenticato di che cosa si trattava, un conto dell’avvocato (per altre duecento trentasette lire) che li aveva seguìti per tutta Europa, li raggiunse a Pietroburgo.
E lo dovettero pagare.
Nel frattempo avevano preso l’impresario parigino. Era un grande impresario che aveva «lanciato» tutti i più grandi astri del mondo artistico.
Egli non volle spese di viaggio. Arrivò abbagliante di cravatta, stupefacente di gilet, risplendente di cilindro.