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i divoratori 349


a corsa, tutti erano lasciati indietro, e la piccina ricadeva con un piccolo sospiro di gioia nelle braccia di sua madre.

— Ti è piaciuto il mio concerto, Liebstes? Ho suonato bene, cara mamma mia?

Era quella l’ora felice di Nancy. Durante i concerti essa non viveva — quasi non respirava: sedeva immobile, agghiacciata di paura. I concerti stessi erano per lei una tortura: la tramutavano in una statua di terrore, la avviluppavano di spavento come di un lenzuolo di ghiaccio.

Mentre la piccola Anne-Marie suonava, calma e estatica, lievemente mossa dall’alitare della melodia come ondeggia un fiore al vento — Nancy bianca, rigida, agghiacciata dal panico, sedeva in mezzo al pubblico (dove Anne-Marie sempre la voleva); teneva le mani convulsamente strette, e sentiva il suo cuore martellare rapido e cupo nelle tempia.

L’azzurra luce sognante degli occhi di Anne-Marie girava per l’uditorio, poi si fermava sul viso di sua madre... E l’angelica figurina suonante sorrideva.

Nancy si sforzava allora di rispondere a quel sorriso: Anne-Marie la vedeva torcere la bocca in una smorfia strana, un sorriso terrorizzato che rimaneva poi impietrito su quel viso stravolto dalla paura.

Allora la bambina, anche mentre suonava, era presa dalla voglia di ridere. E se, per l’appunto stava eseguendo qualche sbalorditiva difficoltà del Paganini, qualche fantastica bravura dell’Ernst o del Bazzini, essa fissava il volto terrorizzato di sua madre, e un lampo malizioso le scintillava negli occhi. Intanto sulle corde le dita correvano, balzavano, balenavano, e l’arco volava aereo, come un raggio, come una saetta!

Nancy, guardandola, e sempre foggiando le pallide labbra a quell’agghiacciato sorriso, diceva tra sè e sè:

— Mio Dio! mio Dio! adesso si fermerà, dimenticherà,