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i divoratori | 317 |
— Parola d’onesto Indiano, — disse Nancy mettendo solennemente la sua mano in quella di sua figlia.
Schopenhauer, contorcendosi per gli abbaiamenti e i dimenamenti di coda, fu carezzato e ammirato, e dimostrò la sua bravura nello stare seduto sulle zampe posteriori, colla schiena appoggiata al muro. E Fräulein narrò tutte le notizie riguardo ai cibi che aveva mangiato Anne-Marie, a cui la tapioca non dispiaceva più, ma a cui le prugne cotte dispiacevano sempre. Poi siccome era tardi e Anne-Marie doveva andare a letto, tutti la accompagnarono disopra, anche Schopenhauer. E mentre Elisabeth slacciava nastrini e bottoni, e Fräulein spazzolava i capelli dorati e ne faceva due treccie, Nancy in ginocchio davanti alla piccina rideva con lei e la baciava; e Schopenhauer le mangiava le scarpette.
Quando fu in letto, Nancy e Fräulein la lasciarono; ma Elisabeth e Schopenhauer dovettero rimanere — come sempre — seduti nel buio vicino a lei, finchè si addormentava.
— Ma Fräulein, Fräulein! come la vizii! — disse Nancy scendendo, a braccetto con lei, le piccole scale.
— Zitta, — disse Fräulein misteriosamente. — Ti spiegherò.
E quando furono nel salotto — dove il violino di Anne-Marie era sul tavolo, e il suo arco su una sedia a bracciuoli, e un suo pezzetto di pece sul sofà — Fräulein si fermò e disse con voce solenne:
— Ma tu non sai che quella creatura è un Genio? — Nella voce di Fräulein, pronunciando la parola «Genio» eravi timore riverenziale, omaggio e genuflessione.
Nancy sedette, e fissò con sguardo distratto il pezzetto di pece attaccato al quadrello di panno verde, buttato sul sofà. «Un Genio!» La parola, e il tono di trepidante stupore in cui fu pronunciato, le destò nel cuore un ricordo.